L'EVOLUZIONE DELL'INFANZIA

di Lloyd deMause


Estratto senza fini di lucro in difesa dell'infanzia, dal libro Storia dell'Infanzia, che raccoglie una selezione dei saggi pubblicati nell'opera collettanea The History of Childhood, a cura di Lloyd deMause, 1974. Traduzione italiana di Lucia Bonardi, 1983, Emme Edizioni, Milano, ISBN 88-294-9793-2. L'edizione italiana fuori stampa, disponibile in biblioteca, contiene sei saggi:


Capitolo

1 -

L'evoluzione dell'Infanzia, di Lloyd deMause, riprodotto in questo estratto.

Capitolo

2 -

Superstiti e sostituti: figli e genitori dal IX al XIII secolo, di Mary Martin McLaughlin

Capitolo

3 -

Il bambino borghese nell'Italia Urbana: dal XIV all'inizio del XVI secolo, di James Bruce Ross

Capitolo

4 -

Natura contro educazione: modelli e tendenze dell'allevamento dei bambini nel Seicento francese, di Elizabeth Wirth Marvick

Capitolo

5 -

Un periodo di ambivalenza: L'infanzia nell'America del secolo XVIII, di John F. Valzer

Capitolo

6 -

La casa come nido: l'infanzia borghese nell'Europa del secolo XIX, di Priscilla Robertson

© 1974 The Psychohistory Press, New York

Altri articoli di Lloyd DeMause sul sito www.psychohistory.com


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1.


L'EVOLUZIONE DELL'INFANZIA


Lloyd deMause


« Do ye hear the children weeping, Oh, my brothers... »
Elizabeth Barrett Browning, The cry of the children


La storia dell'infanzia è un incubo dal quale solo di recente abbiamo cominciato a destarci. Più si va addietro nella storia, più basso appare il grado di attenzione per il bambino, e più frequentemente tocca a costui la sorte di venire assassinato, abbandonato, picchiato, terrorizzato, e di subire violenze sessuali. Nostro compito, qui, è di vedere quanto di questa storia dell'infanzia possa essere recuperato dalle testimonianze superstiti.
Che in precedenza tutto ciò non abbia interessato gli storici, si deve al fatto che la storia ufficiale è stata considerata a lungo come registrazione di eventi pubblici, non di privati. Gli storici erano così concentrati su quel sensazionale teatro che è la storia, con i suoi castelli e le sue battaglie grandiose, da ignorare di solito cosa stesse accadendo all'interno delle case. E mentre essi guardano alle battaglie di ieri cercando le cause per quelle di oggi, noi invece ci chiediamo in che modo ciascuna generazione di padri e figli ponga le premesse dei fenomeni che più tardi emergeranno nella vita pubblica.
A prima vista questa scarsità d'interesse per la vita del bambino può sembrare strana. Tradizionalmente spetta agli storici l'ufficio di dare una spiegazione alla continuità e al mutamento, e sin da Platone sappiamo che l'infanzia è al proposito una chiave notevole. Ma l'importanza del rapporto genitori-figli per l'evoluzione sociale fu scoperta solo con Freud: lungo quindici secoli l'appello di Sant'Agostino, « Datemi altre madri, e vi darò un altro mondo », fu echeggiato dai pensatori maggiori, senza avere alcun effetto sulla storiografia. Da Freud in poi, naturalmente, la nostra visione dell'infanzia ha acquisito una nuova dimensione e, durante l'ultimo mezzo secolo, lo studio dell'infanzia è divenuto routine per psicologi, sociologi e antropologi. Soltanto per gli storici esso è ancora all'inizio, e tale ritardo richiede una spiegazione.
Gli storici attribuiscono di solito all'insufficienza di fonti la scarsità di ricerche valide circa la condizione infantile nel passato. Peter Laslett, constatando come quei bambini che nel mondo pre-industriale « erano dappertutto » non appaiano mai nei resoconti scritti, osserva: « C'è qualcosa di misterioso nel silenzio che circonda queste moltitudini di neonati, bimbi ai primi passi e adolescenti, nei racconti che gli uomini dell'epoca facevano delle proprie esperienze [...] Non siamo in grado di dire se i padri aiutassero ad accudire i neonati [...] Niente possiamo dire riguardo a quello che gli psicologi definiscono toilet training [...] Richiede un certo sforzo il tenere costantemente a mente che tanti bambini erano sempre presenti nel mondo d'un tempo, che costituivano quasi la metà dell'intera comunità, che vivevano in condizioni di semiabbandono ».
¹ E James Bossard, specialista di sociologia della famiglia, conclude: « Purtroppo la storia dell'infanzia non è mai stata scritta, ed è dubbio che la si possa scrivere in futuro, data la scarsezza di dati storici ».²
Tale convinzione è tanto radicata tra gli storici che non deve sorprendere il fatto che il presente libro prenda le mosse non dalla storia, ma dalla psicanalisi applicata. Cinque anni fa stavo scrivendo un lavoro sulla teoria psicanalitica dei mutamenti storici, e mentre riesaminavo i risultati di mezzo secolo di psicanalisi applicata, mi convinsi che questa non è riuscita a diventare una scienza principalmente perché non evolutiva. Dal momento che la coazione a ripetere, per definizione, non può spiegare i mutamenti storici, ogni tentativo di Freud, Roheim, Kardiner e altri, di sviluppare una teoria del mutamento, ha portato, in ultima analisi, a una sterile disputa, del tipo « è nato prima l'uovo o la gallina? », sulla dipendenza, o meno, dell'educazione infantile dai parametri culturali. Che le tecniche educative applicate all'infante siano la base della futura personalità dell'adulto, è stato provato ripetutamente. Ma da dove esse traggano origine, è il quesito che mette in crisi ogni psicanalista.³
In una comunicazione del 1968 all'Associazione di psicanalisi applicata, abbozzai una teoria evolutiva del mutamento storico nel rapporto genitori-figli, e dal momento che ancora non si disponeva di una storia dell'infanzia, proposi che l'Associazione patrocinasse l'iniziativa di un gruppo di specialisti impegnati nella ricostruzione delle fasi salienti, a partire dal Medioevo, della storia dell'educazione infantile. Questo libro raccoglie appunto i risultati del loro lavoro.
La « teoria psicogenetica della storia » esposta in quel progetto, partiva da un'esauriente spiegazione del mutamento storico: ipotizzava cioè che la spinta fondamentale al mutamento non provenga né dalla tecnologia né dall'economia, ma da cambiamenti «.psicogenetici » della personalità, riferibili, lungo l'arco delle generazioni, all'interazione genitori-figli. Questa teoria implicava diverse ipotesi, ciascuna delle quali suscettibile di conferma o smentita sulla base di risultanze storiche empiriche. Elencandole:

a. L'evoluzione del rapporto genitori-figli costituisce una fonte a sé del mutamento storico. L'origine di tale evoluzione sta nell'abilità, da parte delle successive generazioni di genitori, di regredire all'età psichica dei figli, e di affrontare gli stati d'ansia connessi con questa, con maggiore sicurezza di quanta ne disponessero al primo impatto, cioè durante la loro stessa infanzia. Il processo è simile a quello della psicanalisi, che parimenti implica una regressione e la rinnovata chance di affrontare le ansie infantili.
b. La « pressione generazionale » non è solo spontanea, originata nell'adulto dal bisogno di regredire e nel bambino dallo sforzo verso la vita di relazione, ma si determina altresì indipendentemente dal mutamento sociale e tecnologico; la si può ritrovare pertanto anche in periodi di ristagno sociale e tecnologico.
c. La storia dell'infanzia è la successione di approcci via via approssimati tra l'adulto e il bambino, in cui ogni annullamento della distanza psichica genera nuova ansia. La riduzione di quest'ansia dell'adulto è la fonte principale delle tecniche educative applicate all'infante nei vari periodi.
d. Ipotizzare che la storia implichi un progresso nella cura dell'infanzia, implica che quanto più si va addietro nella storia, tanto meno i genitori risultano atti a fronteggiare le necessità connesse con la crescita del bambino. Questo, per esempio, porta a pensare che, se oggi abbiamo in America meno di un milione di bambini maltrattati
4, debba esserci stato, in passato, un momento in cui tale condizione era propria della maggioranza dei minori.
e. Dal momento che la struttura psichica deve essere trasmessa da generazione a generazione attraverso lo stretto imbuto dell'infanzia, le tecniche educative dei vari periodi non sono un fattore culturale qualsiasi, ma rappresentano la condizione vera e propria per la trasmissione e lo sviluppo di tutti gli altri fattori, e pongono limiti ben definiti a ciò che può essere conseguito in ogni altro ambito della storia. Determinati fattori culturali dipendono da determinate esperienze infantili, e ogni volta che tali esperienze cessano di presentarsi, i fattori scompaiono.

È evidente che una teoria evolutivo-psicologica tanto ambiziosa non può essere verificata in un solo libro. E così ci proporremo qui il compito più modesto di ricostruire, con le prove disponibili, la condizione del bambino e dei genitori come si presentava nel passato: è dalla considerazione di duemila anni di storia, frammentaria e spesso confusa, di tale rapporto, che potranno derivare conclusioni di effettiva importanza teorica.


Studi precedenti sul tema

Anche se questa si pone probabilmente come la prima storia dell'infanzia dotata d'impianto scientifico, non si può negare che parecchi storici si sono già occupati del tema.5 Ma i loro studi ne offrono, in genere, un'immagine contraffatta e distorta.
Così, se guardiamo alle biografie più o meno ufficiali vi riscontriamo le peggiori mistificazioni: di solito l'infanzia del personaggio viene idealizzata, e pochissimi sono i biografi che mettono a disposizione, al proposito, notizie utili. Quanto ai sociologi, mirano generalmente a elaborare teorie che spieghino i mutamenti infantili, senza preoccuparsi mai d'esaminare, nel passato o nel presente, una singola famiglia.
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Gli storici della letteratura, poi, scambiano i libri per la vita, dipingono dell'infanzia un quadro immaginario, come se uno, leggendo Tom Sawyer, potesse sapere cosa effettivamente accadeva in una casa americana del secolo scorso.7
Ma è lo storico della società, che dovrebbe accertarne le condizioni reali, e il concreto stadio di sviluppo, a difendersi più vigorosamente dai fatti così come si presentano.8 Quando uno di costoro trova che l'infanticidio era molto frequente, lo dichiara «.ammirevole e umano ».9 Quando un altro descrive le madri che picchiavano con la bacchetta i piccoli ancora nella culla, commenta, senza la minima prova, che « se la disciplina era rigida, pure era giusta e alleviata dalla gentilezza ».10 Quando un terzo scopre che le madri immergevano tutte le mattine i neonati nell'acqua ghiacciata per «.rinvigorirli », e che i poverini ne morivano, conclude che « non erano intenzionalmente crudeli », ma semplicemente « avevano letto Rousseau e Locke ».11 Nessuna delle pratiche del passato appare men che lodevole a questi storici. Laslett, constatando che i genitori spedivano normalmente i loro piccoli in altre case come servi mentre si facevano servire da altri bambini, lo attribuisce a gentilezza: « si direbbe che i genitori preferissero non sottoporre i figli alla disciplina del lavoro di casa ».12
Dopo aver ammesso che frustare severamente i bambini con vari strumenti, a scuola e a casa, « pare fosse comune durante il secolo XVII come più avanti », William Sloan si sente in dovere di aggiungere che « i bambini, allora come adesso, a volte meritavano le frustate.».13 Philippe Ariès, provvisto di tante prove sulle manifeste molestie sessuali subite dai bambini da dover riconoscere che « questo atteggiamento scherzoso a proposito del sesso dei bambini apparteneva a una tradizione diffusissima »14, prosegue descrivendo una scena « tradizionale », in cui un estraneo, durante un viaggio in treno, « si slanciò su un bambino, il viso terribile, la mano brutale, frugando nei suoi pantaloncini », mentre il padre « scoppiava dal ridere », e pure conclude: « si trattava di un giuoco di cui non dobbiamo esagerare il carattere scabroso ».15
Una grande quantità di testimonianze viene sminuita d'importanza, alterata o addirittura ignorata. Si dà scarso rilievo ai primi anni di vita del bambino, ci si dilunga sul contenuto formale della educazione e parallelamente se ne trascura il contenuto emozionale, mettendo l'accento sulla rigorosa legislazione infantile e non prendendo in considerazione l'ambiente familiare. E se la fonte è tale che l'ubiquità di simili fatti spiacevoli non può essere ignorata, si inventa la teoria che « i genitori buoni non lasciano traccia in alcun documento ». Quando, per esempio, Alan Valentine esamina seicento anni di lettere di padri a figli, e non riesce a trovarne uno su centoventisei che non sia insensibile, moralista e terribilmente egocentrico, commenta: « Senza dubbio un infinito numero di padri hanno scritto al figlio lettere che riscalderebbero ed eleverebbero il nostro cuore, se solo potessimo ritrovarle. Ma i padri migliori non fanno storia, e sono probabilmente quelli che non riescono a dare al figlio il meglio di sé stessi, a scrivere le lettere strappacuore che sopravvivono ».16 Similmente Anna Burr, esaminando duecentocinquanta autobiografie, nota che non esistono memorie di un'infanzia felice, ma evita per prudenza di trarre qualsiasi conclusione.17
Tra tutte le opere concernenti il nostro tema, quella di Philippe Ariès L'enfant et la vie familiale sous l'ancien régime (1960) è probabilmente la più famosa; uno storico osserva che è citato con la stessa frequenza della Sacra Scrittura.
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Le tesi centrali dell'Ariès sono l'opposto delle mie: Ariès sostiene che, mentre il bimbo inizialmente era felice perché libero di stare insieme a persone di classi sociali ed età diverse, la particolare condizione conosciuta come infanzia fu « inventata » all'inizio dell'era moderna, come risultato di un concetto tirannico della famiglia che distruggeva l'amicizia e la socievolezza, privando i bambini della libertà ed infliggendo loro, per la prima volta, punizioni quali la frusta o la prigione.
Per dimostrare queste tesi, Ariès si serve di due argomenti principali. Per prima cosa, sostiene che un concetto specifico dell'infanzia rimane sconosciuto all'Alto Medioevo: «.L'arte medievale, all'incirca fino al XII secolo, non conosceva l'infanzia o non tentava di rappresentarla » poiché « gli artisti riuscivano a rappresentare il bambino solo come un uomo in formato ridotto ».
19 Ma così, non solo si lascia nel limbo l'arte dell'antichità, ma si ignora l'attestata capacità degli artisti medievali di raffigurare con grande realismo i bambini 20; anche le considerazioni etimologiche adibite a dimostrare l'inconsistenza di un concetto specifico dell'infanzia risultano deboli 21, e soprattutto l'idea di una «.invenzione dell'infanzia » è tanto peregrina che stupisce che numerosi storici l'abbiano potuta raccogliere.22 Quanto al secondo argomento dell'Ariès, che cioè la famiglia moderna riduca la libertà del bambino ed accresca la severità delle punizioni, essa è contraria alla comune evidenza. Molto più attendibile dell'Ariès appare un gruppo di quattro libri, dei quali uno solo si deve a uno storico professionista: The child in human progress di George Payne; The angel makers di G. Rattray Taylor; Parents and children in history di David Hunt; The emotionally disturbed child: then and now di J. Louise Despert. Payne, che scriveva nel 1916, fu il primo ad esaminare l'enorme diffusione, nel passato, e specie nell'antichità, dell'infanticidio e di ogni genere di brutalità nei confronti dei bambini; il lavoro di Taylor, riccamente documentato, è una sofisticata lettura psicanalitica dell'infanzia e della personalità nell'Inghilterra del tardo secolo XVIII; Hunt, come Ariès, si basa principalmente su un singolare documento seicentesco, il diario dell'infanzia di Luigi XIII tenuto da Héroard, ma lo fa con grande sensibilità psicologica e con consapevolezza delle implicazioni psicostoriche dei suoi accertamenti; confrontando sul piano psichiatrico i maltrattamenti subìti dai bimbi nel passato e nel presente, la Despert studia i vari atteggiamenti emozionali nei confronti dei bambini sin dall'antichità, e si abbandona a crescente orrore nel mettere a nudo una storia di «.insensibilità e crudeltà » incessanti.23 Nonostante queste opere, peraltro, le domande fondamentali della storia dell'infanzia non sono ancora state poste, e tanto meno risolte. Nelle due sezioni seguenti di questo capitolo, tratterò alcuni dei principi psicologici da applicare al rapporto adulti-bambini nel passato. Gli esempi che uso, sebbene non atipici nella vita dei bambini di allora, non sono tratti uniformemente da tutti i periodi, ma sono stati scelti come le più chiare illustrazioni dei principi psicologici descritti. È solo nelle tre sezioni successive, dove abbozzo una storia dell'infanticidio, dell'abbandono, dell'allattamento, delle fasciature, delle percosse e delle violenze sessuali, che prenderò ad esaminare quanto diffusa ne fosse la pratica in ogni singolo periodo.


Principi psicologici della storia dell'infanzia: reazioni di proiezione e di reversione

Studiando l'infanzia nell'arco di varie generazioni, è importante concentrarsi su quei momenti che incidono maggiormente sulla psiche della generazione a venire: essenzialmente, è ciò che succede quando un adulto si trova faccia a faccia con un bambino che ha bisogno di qualcosa. Io credo che l'adulto abbia a disposizione tre reazioni possibili: a. può usare il bambino come veicolo per le proiezioni che soddisfano il suo stesso inconscio (reazione di proiezione); b. può usare il bambino come sostituto di una figura di adulto importante durante la sua infanzia (reazione di reversione); c. può mettersi in sintonia con i bisogni del bambino ed operare per soddisfarli (reazione di empatia).
La reazione di proiezione è, naturalmente, familiare agli psicanalisti, sotto termini che vanno da « proiezione » a « identificazione proiettiva », una forma più concreta e drastica di scaricare sugli altri i propri sentimenti. Lo psicanalista, per esempio, è abituato ad essere adoperato a mo' di toilet-lap
24 per le massicce proiezioni del paziente. Questa condizione di veicolo delle proiezioni altrui è appunto quella normale di un bambino del passato. In modo analogo, la reazione di reversione è ben nota agli studiosi dei genitori violenti.25 I figli qui esistono solo per soddisfare i bisogni dei genitori, ed è sempre l'incapacità d'amare del figlio-genitore a scatenare le violenze. Una di queste madri dichiara: « Non mi sono mai sentita amata per tutta la mia vita. Quando il piccolo nacque, pensai che mi avrebbe amato. Quando piangeva, voleva dire che non mi amava, e così lo picchiavo ».
Il terzo termine, reazione empatica, viene usato qui in senso più limitato di quello letterale. È la capacità dell'adulto di regredire al livello del bisogno infantile, e di identificarlo correttamente senza aggiungere le proprie proiezioni: l'adulto dev'essere in grado di mantenere una distanza sufficiente tra il bisogno e la capacità di soddisfarlo. Tale capacità è identica a quella dell'uso dell'inconscio da parte dello psicanalista, la cosiddetta « attenzione ugualmente fluttuante », definita da Theodor Reik « ascoltare con il terzo orecchio ».
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Spesso nei genitori del passato troviamo contemporaneamente reazioni di proiezione e di reversione: si produce così un effetto che io chiamo « la doppia immagine »: il bambino è visto come contenitore delle proiezioni di desideri, ostilità e pensieri sessuali, e nello stesso momento come figura materna o paterna, vale a dire, è insieme cattivo e affettuoso. Inoltre, quanto più si va addietro nella storia, tanto più ci si imbatte nella «.concretizzazione » o reificazione di queste reazioni, che produce atteggiamenti sempre più bizzarri nei confronti dei bambini, simili a quelli di genitori di bambini picchiati e schizofrenici.
Un primo esempio di quanto siano strettamente collegati questi concetti che ci accingiamo ad esaminare, è una scena tra un adulto e un bambino: l'anno è il 1739 e Nicolas ha quattro anni; le circostanze sono quelle che lui ricorda e che sono state confermate dalla madre. Il nonno, abbastanza premuroso con lui nei giorni scorsi, decide di « metterlo alla prova » e dice: « Nicolas, figlio mio, tu hai molte colpe, e questo addolora tua madre. È mia figlia, ed è sempre stata cara con me; obbediscimi e correggiti, o ti frusterò come si fa con un cane per addestrarlo ». Nicolas, arrabbiato per il tradimento da parte di chi era stato così gentile, getta i suoi giocattoli nel fuoco. Il nonno sembra soddisfatto.

« Nicolas... l'ho detto per metterti alla prova. Pensi davvero che il nonnino, che è stato così gentile con te ieri e l'altroieri, oggi possa trattarti come un cane? Pensavo che tu fossi intelligente... » « Io non sono un cane. » « No, ma non sei maturo come pensavo, perché avresti dovuto capire che ti stavo solo stuzzicando. Era solo un gioco... Vieni qua. » Mi gettai tra le sue braccia. « Non è tutto, » continuò, « voglio che tu sia amico di tua madre: l'hai molto, molto rattristata... Nicolas, tuo padre ti vuole molto bene, tu gliene vuoi? » « Sì, nonnino! » «.Supponendo che fosse in pericolo, e che per salvarlo fosse necessario che tu mettessi una mano sul fuoco, lo faresti? Ce la metteresti, se fosse necessario? » « Sì, nonnino » « E per me? » « Per te?... Sì, sì! » « E per tua madre? » « Per la mamma? Tutt'e due, tutt'e due » « Vedremo se stai dicendo la verità, visto che la mamma ha molto bisogno del tuo piccolo aiuto! Se le vuoi bene, devi provarlo! ». Non risposi, ma collegando tutto ciò che s'era detto, andai verso il camino, e mentre loro si scambiavano dei segni, misi la mano destra nel fuoco. Il dolore mi fece trarre un profondo sospiro.27

Ciò che provocava, in passato, scene così tipiche dell'interazione tra adulti e bambini, era la presenza, negli adulti, di tutta una serie di atteggiamenti contraddittori non suscettibili di alcuna risoluzione: il bambino è amato e odiato, premiato e punito, cattivo e docile, tutto insieme: è evidente che tutto ciò colloca il bambino in un reticolato di segnali conflittuali (che per Bateson 28 e altri stanno alla base della schizofrenia). Ma tali segnali di per sé, provengono da adulti, che si sforzano di dimostrare che i bimbi sono molto cattivi (reazione di proiezione) e insieme docili (reazione di reversione). La funzione del piccolo è quella di ridurre le pressanti ansie dell'adulto: agisce, insomma, in sua difesa. Sono sempre queste due reazioni a rendere impossibile il senso di colpa nelle severe punizioni che così spesso si riscontrano nel passato. Ciò accade perché non è il bambino in sé che viene picchiato, ma l'una o l'altra delle proiezioni dell'adulto: « Guarda come ti fissa! E così che si becca gli uomini, è una vera puttana! », dice una madre della figlia di due anni; oppure, per quella di reversione: « Pensa di essere il capo, tutto il giorno a comandare: ma gli ho fatto vedere io chi comanda qui! », dice il padre di un bambino di nove mesi, dopo avergli spaccato la testa.29 Nelle fonti storiche si nota spesso la fusione tra picchiato e picchiatore, e quindi l'assenza di colpa. Un padre americano (1830) racconta di aver frustato il figlio di quattro anni perché incapace di leggere una parola. Eccolo di fronte al bimbo, legato nudo nello scantinato:

Con lui in queste condizioni, e me stesso, la mia adorata moglie, signora della mia famiglia, tutti quanti angosciati sentendoci mancare il cuore, cominciai ad usare la verga... nel corso di questa operazione oltremodo spiacevole e avvilente, mi fermai più volte, ora imponendomi e cercando di persuaderlo, ora zittendo le sue scuse, ora contestando le sue obiezioni... Avvertivo tutta la forza della divina autorità e dell'espresso comando, come mai in tutta la mia vita... Ma sotto l'influenza di una tale irata passione e ostinazione manifestate da mio figlio, non mi meravigliavo che pensasse che « mi avrebbe sopraffatto », debole e tremolante com'ero; e la consapevolezza di ciò mi rendeva nauseabonda la mia azione. In quel momento egli non poteva aver pietà né di me né di se stesso.30

È questa tipica rappresentazione della fusione di padre e figlio (col padre che si lamenta che è lui quello picchiato e bisognoso di pietà) che incontreremo allorché ci domanderemo come in passato la violenza potesse essere così diffusa. Le parole di un pedagogo del Rinascimento, da dire al bambino mentre lo si sta battendo « tu stai infliggendo la punizione contro la tua volontà, obbligato dalla coscienza, e chiedi loro di non farti più incorrere in simili fatiche e dolori. Perché se lo farai (devi dire), soffrirai insieme a me, e d'ora in poi saprai che dolore tocca ad entrambi », non possono certo indurci a dimenticare tale fusione né a prenderla per ipocrisia.31
In effetti, il genitore vede nel figlio tanta parte di se stesso che perfino gli incidenti che accadono al bambino vengono vissuti come ingiurie a lui. Nanny, figlia di Cotton Mather, finì nel fuoco e si scottò seriamente, ed egli si mise ad urlare: « Ahimè, il buon Dio gettò mia figlia nel fuoco a causa dei miei peccati! ».32 Passò in rivista tutto ciò che poteva aver fatto di sbagliato negli ultimi tempi, ma siccome era convinto di essere il solo a essere stato punito, non poteva avvertire nessun senso di colpa nei confronti della figlia (poniamo per averla lasciata sola), né rimediare all'accaduto.
Poco dopo altre due figlie si scottarono gravemente, e la sua reazione fu una predica in chiesa su « ciò che i genitori dovrebbero ricavare dagli incidenti occorsi ai loro bambini ».
L'argomento degli « incidenti » ai bambini non è da prendere alla leggera: in essi troviamo la traccia per capire perché in passato i genitori valessero così poco. A parte gli effettivi desideri di morte, di cui tratteremo più avanti, gli incidenti erano tanto numerosi perché i bambini venivano spesso abbandonati a sé stessi. Nibby, figlia di Mather, sarebbe morta scottata se « una persona non fosse passata per caso davanti alla finestra »
33 dato che non c'era nessuno che potesse udire il suo pianto. Tipica è pure questa vicenda della Boston coloniale:

Dopo aver cenato, la madre mise a letto i due bambini, nella stanza dove anch'essi dormivano, ed uscirono per far visita a un vicino. Al ritorno, la madre, andando a letto, si accorse che mancava la figlia minore (di circa cinque anni); dopo molte ricerche, la trovò annegata nel pozzo dello scantinato.34

Il padre attribuisce l'incidente il fatto di aver lavorato durante una festa religiosa. Non solo risulta qui normale, sino al nostro secolo, lasciare soli i piccoli; ma, cosa più importante, si nota che i genitori non possono essere realmente interessati alla prevenzione, in assenza di colpa: sono convinti, infatti, che siano le loro proiezioni a venire punite.
Chi è soggetto a tale meccanismo, non inventa stufe con dispositivi di sicurezza, e spesso non si preoccupa neanche che i bambini abbiano un minimo di cure. Simili proiezioni, disgraziatamente, implicano la ripetizione.
L'uso del bambino come « scarico » per le proiezioni dell'adulto deriva dalla nozione di peccato originale; per diciotto secoli circa, si concorda con quello che scrive Richard Allestree (1676): « il neonato è ricolmo dell'onta e dell'impurità del peccato, che ha ereditato dai nostri progenitori attraverso i nostri lombi... ».
35 Il battesimo comprendeva una vera e propria esorcizzazione del diavolo, ed alla soppressione formale d'essa, attuata con la Riforma, sopravvisse a lungo la credenza che il pianto del bambino durante la cerimonia segnalasse l'espulsione del maligno.36 Anche quando la religione istituzionale non poneva l'accento sulla presenza demoniaca, questa era latente; ecco il ritratto di un insegnante, nell'ambiente ebreo polacco del secolo XIX:

Ricavava una gioia intensa dai tormenti delle sue piccole vittime, stese tutte tremanti sul banco. Era solito usare la frusta con freddezza, lentamente e deliberatamente. Chiedeva al ragazzo di calare i calzoni, e di allungarsi sul banco, e ci dava dentro con le cinghie di cuoio. « In ognuno dimora uno Spirito del Bene e uno Spirito del Male. Lo Spirito del Bene ha il suo domicilio nella testa; anche lo Spirito del Male ce l'ha, ed è il posto dove ricevi le frustate. » 37

In passato i bambini erano così carichi di proiezioni da rischiare di venire presi per changelings (bambini scambiati in culla - N.d.T.) se piangevano troppo o erano troppo esigenti. Esiste un'ampia letteratura sugli changelings 38, ma generalmente non ci si rende conto che non erano solo i bambini deformi ad essere uccisi perché creduti oggetto di sostituzione, ma anche quelli che, come dice Sant'Agostino, « soffrono a causa di un demonio [...] sono sottomessi al potere del diavolo [...] e taluni muoiono a causa di tale afflizione ».39 Certi Padri della Chiesa sostenevano che, se un bambino piangeva senza motivo, stava commettendo un peccato.40 Sprenger e Krämer, nel loro celebre trattato sulla stregoneria, il Malleus Maleficarum (1487), affermano che è possibile riconoscere gli changelings dal fatto che « piangono continuamente nel modo più lamentoso e non crescono neanche se hanno a disposizione per l'allattamento quattro o cinque madri ». Lutero concorda: « È vero: spesso rapiscono i neonati nella culla e si mettono al loro posto, e sono più molesti di dieci bambini, col gran mangiare e strillare che fanno ».41 Gilberto da Nogent, nel secolo XII, considera la madre una santa per aver sopportato il pianto di un bambino adottivo:

...il neonato tormentava tanto mia madre e i domestici con la follia dei suoi pianti e lamenti notturni (di giorno era molto calmo, ora dormendo ora giocando) che nessuno nella stanzetta riusciva a prendere sonno. Ho sentito dire dalla nutrice che mia madre aveva preso a servizio, che era così cattivo che di notte non era possibile smettere di agitargli il sonaglio, ma che non era colpa sua, bensì del diavolo, che se n'era impossessato, e l'azione di una donna non sarebbe mai riuscita a scacciarlo. La povera donna fu presa da una pena terribile; tra quegli strilli così acuti nessun espediente poteva riuscire a darle sollievo [...] Eppure non lo mandò mai via di casa...42

La convinzione che i neonati fossero sempre sul punto di essere trasformati in creature demoniache è uno dei motivi per i quali li si legava e fasciava tanto stretti e tanto a lungo. Si avverte il sottinteso in Bartolomeo Anglico (1230 circa): « A causa della loro fragilità le membra del bambino possono facilmente, ed in breve, piegarsi ad arco ed assumere forme diverse. Per questo membra ed arti sono sostenuti da fasce ed altre opportune legature, in modo da non curvarsi né malamente deformarsi... ». 43 È il neonato oggetto di proiezioni negative da parte dei genitori, ad essere fasciato. Le giustificazioni addotte in passato sono le stesse dei giorni nostri nell'Europa Orientale: il piccolo deve essere legato, altrimenti si strapperà le orecchie, si graffierà gli occhi, si romperà le gambe e si toccherà i genitali.44 Come vedremo brevemente nel paragrafo dedicato alle fasciature, tutto ciò significa, di solito, costringerlo in corsetti o busti, assicurarlo ad apposite assi, e persino legarlo alla sedia, per impedire che cammini carponi sul pavimento « come una bestia ».
Se gli adulti proiettano sul bambino tutte le emozioni che non accettano, è naturale che le misure più severe debbano essere adottate per tenere questo « toilet-child » sotto controllo, una volta cresciuto troppo per poterlo fasciare. Esamineremo più avanti i vari metodi usati al proposito dai genitori attraverso i secoli; per ora mi limiterò ad illustrare solo uno di questi sistemi di controllo - spaventare il bambino coi fantasmi - per discuterne il carattere proiettivo.
È incredibile il numero di figure inventate, nel corso della storia, per incutere paura ai bambini, figure comunemente usate fino a non molto tempo fa. Gli antichi avevano le loro Lamia e Striga, che, come l'ebraica Lilith, mangiavano i bambini crudi, e che, al pari di Mormo, Canida, Sibari, Acco, Empusa, Gorgone ed Efialte, secondo Dione Crisostomo «.furono inventate a vantaggio dei bambini, per renderli meno impulsivi e ribelli ».
45 La maggior parte degli scrittori classici risulta d'accordo sull'opportunità che i bambini avessero sempre davanti agli occhi le immagini di queste streghe, che dovessero aspettare con terrore ogni notte la visita di fantasmi che li avrebbero rapiti, mangiati, tagliati a pezzetti, o che avrebbero succhiato loro il sangue o il midollo delle ossa. A partire dal Medioevo, naturalmente, la preferenza viene accordata a streghe e diavoli, che di quando in quando si alternano con un Ebreo tagliatore di gole infantili, e con orde di altri mostri e spiriti maligni, « come quelli coi quali le nutrici amano terrorizzarli ».46 Dopo la Riforma, è Dio stesso, che « ti tiene sopra l'Inferno, come si tiene un ragno o un altro insetto ripugnante sopra il fuoco.».47, a divenire uno degli spauracchi più comuni, e si scrivono anche dei libretti per raccontare, con linguaggio infantile, le torture riservate ai bambini nell'Inferno: « Il piccolo è in un forno incandescente. Senti come strilla per uscire [...] lascia sul pavimento le impronte dei piedini ».48
Oltre a quelle di matrice religiosa, si usano per questa campagna del terrore anche figure in qualche modo prossime all'ambiente domestico: il Lupo Mannaro ti inghiottirà, Barbablù ti farà a pezzi, Boney (Bonaparte) mangerà le tue carni, l'Uomo Nero o lo Spazzacamino ti rapirà nottetempo.49
Tutto questo apparato verrà messo in discussione solo dopo l'inizio del secolo XIX. Nel 1810, un genitore inglese osserva: « l'abitudine, prima diffusa, di terrorizzare le giovani menti con storie di fantasmi è ora unanimamente disapprovata, in conseguenza del buon senso, più forte in tutta la nazione. Ma molti che ancora vivono, ricordano la paura del buio e di esseri soprannaturali come un'autentica sofferenza della loro infanzia ».50 Ancora oggi, del resto, in molti villaggi europei, i genitori minacciano i figli con il loup-garou (Lupo Mannaro ), il barbu (il Barbuto), o il ramoneur (lo Spazzacamino ), o addirittura dicono loro che li richiuderanno in cantina, dove saranno rosicchiati dai topi.51
Questa tendenza a personificare le figure punitive era così forte che, seguendo il principio della « concretizzazione », gli adulti arrivavano a servirsi di manichini opportunamente acconciati, per far paura ai piccoli. Ecco la testimonianza di uno scrittore inglese, datata 1748:

Alla bambinaia viene un'idea, per calmare quel bambino nervoso: abbiglia una figura grottesca, la introduce nella stanza, si volge verso il piccolo con strilli e ringhi così sgradevoli da offendere il suo tenero udito, e intanto, gesticolando e avvicinandosi sempre più, lo convince che sta per essere divorato.52

Immagini simili erano, si capisce, adottate specialmente dalle bambinaie che volevano che i bambini restassero a letto, mentre loro uscivano. Susan Sibbald ricorda i fantasmi come parte ben concreta della sua infanzia settecentesca:

Era un fatto comune che i fantasmi facessero la loro apparizione [...] Ricordo perfettamente, a Fowey, una sera, che entrambe le bambinaie volevano lasciare la nursery [...] noi eravamo zittiti dagli orribili gemiti e rumori che udivamo al di là della parete che ci divideva dalle scale. La porta si aprì all'improvviso, e, orrore!, entrò una sagoma, alta e vestita di bianco, e sembrava che le uscisse fuoco dagli occhi, dal naso e dalla bocca. Fummo quasi presi dalle convulsioni, e poi, per parecchi giorni, restammo indisposti, ma non osammo riferirlo.53

I bambini così spaventati non sempre erano grandi come Susan e Betsey. Nel 1882, una madre americana racconta della figlia di un'amica, dì appena due anni, cui la bambinaia, intenzionata a divertirsi insieme agli altri domestici, approfittando dell'assenza dei padroni, racconta che:

un orribile Uomo Nero [...] era nascosto nella stanza, pronto ad acchiapparla appena avesse lasciato il letto o fatto il minimo rumore [...] Per essere sicura di non venire importunata mentre si divertiva con gli altri, fabbricò un enorme Uomo Nero, con uno spaventoso sguardo ed una bocca smisurata, e lo collocò ai piedi del letto dove la piccola si era subito addormentata. Conclusa la serata, tornò al suo incarico. Ma quando aprì silenziosamente la porta, scorse la bimba seduta sul letto, con gli occhi terrorizzati fissi al terribile mostro sopra di lei, ed entrambe le mani convulsamente avvinghiate ai capelli biondi: era morta stecchita! 54

Esistono prove che l'uso di sagome mascherate per impaurire i bambini risale all'antichità.55 La rappresentazione di bambini spaventati da maschere è uno dei soggetti preferiti degli artisti, dagli affreschi romani alle incisioni di Jacques Stella (1657); ma, poiché tali eventi traumatici infantili erano oggetto della massima repressione, non sono ancora stato in grado di stabilirne con precisione le forme. Dione Crisostomo ribadisce che « queste terrificanti immagini dissuadevano i bambini dal pretendere di mangiare, o di giocare, o di fare qualsiasi altra cosa inopportuna »; e discute teoricamente sull'uso più efficace d'esse: « Sono del parere che ogni bambino tema uno spauracchio particolare e voglia essere spaventato da quello; ovviamente, i ragazzi paurosi di natura urlano di fronte a qualunque cosa si escogiti per impaurirli ».56
Quando i bambini vengono terrorizzati con figure simili solo perché piangono o hanno fame o vogliono giocare, significa che l'ammontare delle proiezioni ed il bisogno da parte dell'adulto di tenerle sotto controllo ha raggiunto proporzioni notevoli, quali oggi ritroviamo in soggetti adulti apertamente psicopatici. Non può essere determinato con facilità quanto frequente fosse in passato l'uso di tali figure, sebbene spesso fossero considerate normali. Per molti aspetti, comunque, entravano a far parte delle consuetudini. Per esempio, in Germania, sino a poco tempo fa, comparivano nei negozi, prima di Natale, grandi quantità di manici di scopa, legati nel mezzo, con un ciuffo rigido da entrambe le parti. Questi si usavano per picchiare i bambini: durante la prima settimana di dicembre, gli adulti adottavano un travestimento spaventoso, sostenendo di essere dei messaggeri di Cristo (Pelz-nichel) venuti a punire i bimbi e a rivelar loro se avrebbero ricevuto o no, i regali natalizi.57
È solo osservando lo sforzo sostenuto dai genitori per rinunciare all'uso di simili immagini terrificanti, che si intende quanto prepotente sia il bisogno che li spinge ad usarle. Uno dei primi difensori dell'infanzia nella Germania del secolo XVIII, Jean Paul Richter, in un suo libro famoso, Levana, condanna i genitori che imponevano l'ordine ai bambini « con immagini di terrore », sostenendo in base a prove mediche che costoro «.spesso cadono in preda alla follia »; ma così grande è anche per lui la coazione a ripetere i traumi riportati durante l'infanzia, che si vede obbligato ad inventare versioni più lievi per suo figlio:

Se in ogni caso ci si spaventa sul serio una volta sola, non due, credo che si potrebbe risparmiare ai bambini il vero spavento ricorrendo a prologhi burleschi.
Ad esempio: io vado a spasso in un fitto bosco con il mio Paolo, che ha nove anni. Ad un tratto sbucano fuori e ci assalgono tre individui armati tinti di nero con i quali io ho concertato il giorno prima l'attacco in cambio di un piccolo premio ladronesco. Noi due siamo armati soltanto di bastoni, la banda di briganti, invece, di spade e di una pistola caricata a polvere. [...] Con un manrovescio butto via la pistola, di cui il malandrino ha già premuto il grilletto, cosicché non mi colpisce, con il bastone faccio cader di mano all'altro la spada [...] Tuttavia (e questo lo aggiungo qui nella seconda edizione) giochi simili sono pericolosi per la loro stessa falsità: inoltre soltanto se ripetuti potrebbero cancellare l'impressione dannosa che sempre lascia uno spavento, quand'anche poi vada a finire in niente. Altre commedie di cappa e spada [...] si potrebbero inscenare proficuamente di notte, per eliminare la credenza negli spettri e ricondurre la fantasia alla piatta uniformità della vita giornaliera.
58

Un altro campo in cui si concretizza il bisogno di terrorizzare i bambini è quello implicante l'uso di cadaveri. Molti ricorderanno le scene del romanzo della Sherwood, History of the Fairchild Family 59 dove i bambini vengono portati a visitare il patibolo, perché vedano appesi i corpi già in decomposizione, intanto che vengono raccontate loro storie edificanti. Ciò che spesso non si prende in considerazione e che scene del genere sono tratte dalla vita reale, ed in passato costituivano una parte importante dell'infanzia. Intere classi scolastiche venivano condotte alle impiccagioni, e i genitori ci portavano spesso i figli, frustandoli al ritorno affinché non dimenticassero ciò che avevano visto.60 Anche un educatore umanista come Maffeo Vegio, autore di libri di protesta contro la pratica di picchiare i bambini, ammette che « lasciarli assistere ad una pubblica esecuzione, talvolta non è del tutto sbagliato ».61
Naturalmente, l'effetto prodotto da questo continuo vedere cadaveri era molto forte. Una bambina, cui venne mostrato, come esempio, dalla madre il cadavere della sua amichetta di nove anni appena morta, girando tutt'attorno domandò: « Metteranno la figlia nel buco, e cosa farà la madre? ».62 Un altro bambino si destò urlando, una notte, per aver visto degli impiccati, e « qualcuno che impiccava il suo gatto ».63
A undici anni Harriet Spencer annotò nel diario di vedere ovunque corpi di giustiziati sul patibolo, o di suppliziati alla ruota. Suo padre la portò a vedere centinaia di cadaveri esumati per fare spazio ad altri.

... Papà dice che è sciocco e superstizioso aver paura di vedere dei morti. Così lo seguii giù per una buia, angusta e ripida scala, che si snodava a lungo fino a una porta, che dava su una grande caverna. Era illuminata da una lampada appesa nel mezzo, e il frate portava una torcia. Dapprima non riuscivo a vedere, e quando potei ebbi a stento il coraggio di guardare: da ogni lato, orride e spettrali figure nere, alcune ghignanti, alcune che ci segnavano a dito, altre sembravano in pena, in vari atteggiamenti e così spaventose che a fatica evitai di urlare, pensando che si stessero muovendo. Quando papà vide come ero turbata, non si arrabbiò, fu invece molto gentile, e mi disse di vincere la paura e di andare a toccarne una, cosa che mi fece grande impressione. La pelle era di un marrone scuro, e quasi completamente rinsecchita sulle ossa, molto dura, e al tatto pareva marmo.64

Questo, del padre premuroso che aiuta la figlia a superare la paura dei cadaveri, è un esempio di quelle che definisco « cure da proiezione », per distinguerle dalle vere cure empatiche, risultato della reazione empatica. Le prime implicano costantemente una preliminare proiezione dell'inconscio dell'adulto sul bambino, e si differenziano da quelle empatiche per essere inappropriate o insufficienti ai bisogni effettivi del piccolo. La madre che reagisce con l'allattamento al minimo disagio del bimbo, la madre che presta molta attenzione all'abbigliamento del neonato prima spedirlo dalla nutrice, la madre che impiega un'ora intera per fasciare a dovere il figlio, sono altrettanti esempi di cure da proiezione.
Queste sono sufficienti, comunque, per allevare un figlio. Gli antropologi che hanno studiato l'infanzia presso i popoli primitivi le hanno tenute in gran conto, infatti, e solo quando antropologi di formazione psicanalitica hanno studiato le stesse tribù, si è potuto accertare trattarsi di proiezioni, e non di empatia. Per esempio, gli studi sugli Apache
65 hanno sempre attribuito loro i più alti valori circa la « soddisfazione orale », indice tanto importante per lo sviluppo del senso di sicurezza.
Gli Apache, come altre tribù, protraggono l'allattamento per due anni, e su questo si basava la valutazione. Ma solo quando l'antropologo L. Bryce Boyer, di formazione psicanalitica, li visitò, fu evidenziato il fondamento proiettivo del loro comportamento verso l'infanzia:

Le cure dedicate al neonato dalle madri Apache appaiono oggigiorno sorprendentemente inconsistenti. In genere esse sono molto affettuose e impegnate nel rapporto fisico col figlio, e fra i corpi vi è molto contatto. L'ora dell'allattamento è determinata, di solito dal pianto del piccolo, e ad ogni sua manifestazione di disagio corrisponde la pronta offerta del capezzolo o del poppatoio. Nello stesso tempo, però, le madri hanno un senso di responsabilità assai limitato per quanto riguarda la cura del bambino, e l'impressione è che la tenerezza della madre si basi sul dedicare al bambino cure che lei stessa, adulta, desidera. Un gran numero di madri abbandona o cede il proprio figlio, avendolo magari allattato amorevolmente sino a una settimana prima. Gli Apache chiamano questa pratica, molto propriamente, « buttar via il bambino ». Non solo esse avvertono uno scarso senso di colpa per tale comportamento, ma a volte sono addirittura felici di essere riuscite a disfarsi del loro fardello: in certi casi, le madri che hanno ceduto i figli dimenticano di averli avuti. La madre Apache crede comunemente che la cura fisica sia tutto ciò di cui un bambino ha bisogno. Prova poco rimorso, o nessuno, per aver abbandonato il piccolo fra le braccia di non importa chi, mentre lei se ne va in giro a chiacchierare, a far compere, a giocare o a bere. L'ideale è che la madre affidi il figlio a una sorella o a una parente più vecchia. In età aborigena, una sistemazione di questo tipo era quasi sempre possibile.66

In passato anche un atto come empatizzare con i bambini che venivano picchiati era per un adulto molto difficile. Quei pochi educatori che prima del nostro tempo rifiutarono le percosse come mezzo pedagogico, non lo facevano tanto per timore di far male ai bambini quanto per la convinzione che questa pratica potesse avere cattive conseguenze. Ma senza questo elemento empatico, il monito non ebbe effetto alcuno, e si continuò come prima con le botte. Le madri che spedivano i figli alle nutrici per tre anni erano sinceramente addolorate dal fatto che questi non volessero poi far ritorno, e per di più non riuscivano ad individuarne la ragione. Almeno cento generazioni di madri hanno fasciato i figli assistendo impassibili alle loro proteste, in quanto erano prive del meccanismo psichico che le avrebbe portate ad empatizzare con loro. Solo quando questa facoltà si stabilizzò, alla fine del lento processo storico di evoluzione dei rapporti genitori-figli, attraverso generazioni di interazione fra i due poli, apparve ovvio che le fasciature erano completamente inutili. Richard Steele, nel suo Tatler (1706), descrive quelle che a suo parere erano le sensazioni di un bambino, subito dopo la nascita:

Sono disteso tranquillamente; ma la strega, senza nessuna ragione al mondo, mi prende e mi avvolge la testa che più forte non potrebbe; poi mi lega entrambe le gambe, e mi ingozza con una schifosa medicina. Prendere una medicina, penso, è davvero un brutto inizio della vita. Una volta vestito, mi portano accanto a un letto, dove una signora giovane e carina (mia madre, lo so) si diletta a stringermi sin quasi a soffocarmi [...] poi mi getta nelle braccia della ragazza assunta per accudirmi. Costei, molto fiera del suo impiego di bambinaia, si dà briga di sfasciarmi e di vestirmi nuovamente per vedere cosa mi affligge, dato che avevo fatto un rumore e così mi ficca degli spilli dappertutto. Naturalmente io piango, e lei mi mette giù col viso nel suo grembo, e, per calmarmi, finisce per ribadire gli spilli, battendomi sulla schiena intanto che mi canta una ninnananna.67

Non ho trovato nessuna descrizione tanto animata da empatia nei secoli antecedenti il XVIII. E si sa che non molto dopo finirono duemila anni di fasciature. A tutta prima si sarebbe portati a pensare che non dovrebbe essere difficile trovare esempi analoghi di queste capacità di empatizzare nel passato. Naturalmente la prima fonte da esaminare è la Bibbia: qui l'empatia verso i bisogni infantili non dovrebbe mancare, forse che Gesù non viene sempre ritratto in compagnia di bambini? Tuttavia, quando si leggono, una per una, le duemila e più testimonianze sui bambini elencate dalla Complete Concordance to the Bible, queste dolci immagini mancano. Ne trovate parecchie su bambini immolati, lapidati, picchiati, sulla rigida obbedienza cui dovevano attenersi, sull'amore che portavano ai genitori e sul loro ruolo di portatori del nome di famiglia, ma non ce n'è una che esprima empatia verso i loro bisogni. Anche il celebre « Lasciate che i piccoli vengano a me » si rivela nient'altro che una pratica d'esorcismo per imposizione delle mani, comune nel vicino Oriente e finalizzata a liberare da presenze diaboliche: « Allora gli furono presentati dei bambini, perché imponesse loro le mani e pregasse [...] E, dopo aver imposto loro le mani, si allontanò di là ». (Matteo, 19, 13-15)
Tutto ciò non significa che in passato i genitori non amassero i figli, anzi. Anche al giorno d'oggi chi picchia i figli non è necessariamente un sadico; spesso costoro amano i bambini, a modo loro, e sono anche capaci di esprimere amore, in particolare quando i figli non chiedono nulla. Lo stesso vale per i genitori di un tempo: manifestazioni d'affetto nei confronti dei bambini si hanno più spesso quando questi non le sollecitano, in special modo quando sono addormentati o morti. La similitudine di Omero, « Come una madre allontana una mosca dal suo piccolo che dorme dolcemente », può essere accostata all'epigramma di Marziale:

Le sue ossa così molli
copra una zolla non dura
e com'ella fu a te
a lei sii, terra, leggera.
68

È solo al momento della morte che i genitori, prima incapaci di empatizzare, lo piangono a gran voce, come scrive Giovanni di Pagolo Morelli (1400): « Tu gli volevi bene e mai col tuo bene nol facesti contento; tu nollo trattavi come figliuolo ma come istrano; tu non volesti mai dargli un'ora di riposo [...] tu nollo baciasti mai una volta che buon gli paresse; tu l'amacerasti alla bottega e colle molte ispesse battiture ».69
Non era l'amore che mancava a quei genitori, ma piuttosto la maturità emozionale necessaria per vedere il figlio come una persona a sé. Quanto ai genitori odierni, è difficile dire in che percentuale essi raggiungano un grado consistente di empatia. In occasione di una mia inchiesta del tutto informale tra una dozzina di psicoterapisti, domandai quanti dei loro pazienti, all'inizio dell'analisi, fossero in grado di vedere i figli come individui autonomi, separati dalle loro proiezioni; tutti mi risposero che solo pochissime persone possiedono tale capacità. Uno di loro, Amos Gunsberg, spiegò: « Questo non avviene se non a un certo punto dell'analisi, sempre allo stesso punto, quando arrivano all'immagine di sé come persone separate dalla loro stessa madre ».
La reazione di reversione corre parallela a quella di proiezione, rovesciando i ruoli di genitori e figli, e spesso producendo effetti bizzarri. La reversione inizia molto prima della nascita del figlio: è la causa del desiderio prepotente di avere figli che si nota nel passato, sempre espresso in ciò che questi possono dare ai genitori, e mai in modo contrario.
Il lamento di Medea prima dell'infanticidio, si basa sull'idea che sopprimendo i figli non avrà più nessuno che si prenda cura di lei:

Invano, o figli, v'ho nutriti, invano
in fatiche mi strussi, e m'affannai,
doglie crudeli soffrendo nei parti.
Misera! E un dì tanto sperai che voi
curata avreste la vecchiezza mia,
con le vostre man curato m'avreste
il mio corpo defunto, ch'è tra gli uomini
invidiato ufficio. Adesso, è spenta
la soave speranza...
70

Una volta venuto al mondo, il bimbo diventa genitore del padre e della madre, in aspetto positivo o negativo, senza alcun rapporto con la sua età effettiva. Indipendentemente dal sesso, viene spesso abbigliato con uno stile simile a quello degli abiti indossati dalla madre dei genitori, cioè non solo con un abito lungo, ma anche fuori moda da almeno una generazione.71 La madre è letteralmente rinata nel bambino; i piccoli non solo vengono vestiti come « adulti in miniatura », ma spesso chiaramente come donne in miniatura complete di décolleté.
È comune nell'antichità l'idea che siano i nonni a rinascere nei neonati
72, e la somiglianza tra la parola baby e le parole usate per chiamare i nonni (baba, babe) rafforza tale opinione. 73 Esistono prove di reversione avvenute in modo più concreto, alcune delle quali propriamente allucinatorie. Gli adulti, per esempio, spesso baciavano o succhiavano le mammelle del neonato. Il piccolo Luigi XIII si vide più volte succhiare pene e capezzoli da coloro che lo circondavano. Sebbene Héroard, che ha tenuto il diario della vita del re, gli attribuisca sempre l'iniziativa (a tredici mesi « si fece baciare il membro da M. de Souvré, M. de Termes, M. de Liancourt, e M. Zamet » 74), diventa poi evidente che sottostava passivamente ad una manipolazione: « Non vuole mai farsi toccare i capezzoli dalla marchesa, dopo quello che gli ha detto la bambinaia: “Sire, non permettete a nessuno di toccarvi i capezzoli o il membro: ve li taglieranno” ».75 Eppure gli adulti non riuscivano a tenere labbra e mani lontane dal suo pene e dai suoi capezzoli: entrambi rappresentavano il ritorno al seno materno.
Un altro esempio di bambino-madre è offerto dalla diffusa credenza che i neonati avessero latte nelle mammelle, e che bisognasse favorirne l'espulsione. Nell'Italia del secolo XIV la nutrice veniva opportunamente istruita:

Fa espressamente che le sue mammelle,
cioè di questo infante,
tu priema di quel latte che gli aviene,
però che tal fiata gli fa noia.
76

Effettivamente la leggenda ammette un minimo di spiegazione razionale, giacché può accadere, raramente, che il neonato perda dal seno qualche goccia di liquido latteo come conseguenza del prelievo di ormoni femminili dalla madre. Certo c'è differenza tra questo e « l'innaturale ma corrente pratica di strizzare con forza i delicati seni del neonato, con le ruvide mani della bambinaia, ciò che è la causa maggiore di infiammazione di questa regione », come scrisse il pediatra americano Alexander Hamilton nel l793.77 Sentirsi baciare, succhiare e strizzare le mammelle è solo una piccola parte di ciò che poteva capitare al « bambino-seno »; all'inizio del secolo XIX, ecco, nella descrizione di un pediatra, un'altra pratica affine:

Un'abitudine estremamente nociva e disgustosa è che bambinaie, zie e nonne tollerino che il bambino succhi loro le labbra. Ho avuto occasione di osservare il deperimento fisico di un fior di neonato, per avere succhiato le labbra della nonna malaticcia lungo più di sei mesi.78

Ho trovato anche numerose testimonianze di genitori che « leccano i bambini ». Doveva essere questo, per esempio, ciò che intendeva George du Maurier quando raccontava di una sua figliola appena nata: « La bambinaia me la porta nel letto ogni mattina, così che possa leccarla con la lingua rigida: ne provo un tale piacere che intendo continuare finché avrà raggiunta 1'età della ragione ».79
Si ha l'impressione che per figlio perfetto s'intendesse quello che allattava al seno i genitori, e che gli antichi al proposito fossero tutti d'accordo. Ogni volta che si discuteva sui bambini, saltava fuori la storia di Valerio Massimo, che descriveva il figlio « perfetto ». Ecco cosa scrive Plinio:

Vero è che vi sono stati ovunque illimitati esempi di affetto filiale, ma in Roma ve n'è stato uno che non poteva comparire altrove. Una donna plebea di bassa condizione che dette alla luce un figlio ebbe il permesso di far visita alla propria madre, rinchiusa in prigione per punizione, e sempre venne perquisita dal carceriere per evitare che introducesse del cibo. Fu sorpresa mentre nutriva la madre col proprio seno. Come conseguenza per questa meraviglia, il devoto affetto della figlia fu ricompensato con la liberazione della madre, e ad entrambe fu concesso il mantenimento a vita; e il luogo in cui ciò accadde fu consacrato alla relativa dea, un tempio dedicato all'Affetto Filiale...80

La storia fu ripetuta attraverso i tempi, con valore di exemplum. Charron (1593) la definì «.ripercorrere all'indietro il fiume sino alla sorgente » 81; ed il tema fu ripreso da dipinti di Rubens, Vermeer ed altri. Spesso il bisogno di agire l'immagine del bambino-madre è irresistibile. A questo proposito è emblematico uno scherzo fatto a una bambina di sei anni dal Cardinale Mazzarino:

Un giorno, mentre scherzava con lei su certi corteggiatori che si vantava di avere, prese a rimproverarle di essere rimasta in stato interessante [...] Le adattavano via via i vestiti facendole credere che stava ingrossandosi. E questo continuò per il tempo necessario a persuaderla della verosimiglianza della sua gravidanza [...] Venne il tempo del parto, e al mattino si ritrovò tra le lenzuola un bimbo appena nato. Non potete immaginare la sorpresa e l'angoscia che provò. «.Una cosa del genere » disse, « non è mai accaduta a nessuna se non alla Vergine Maria e a me, visto che non ho assolutamente avvertito dolore. » La regina venne per consolarla, e per offrirsi come madrina; molte donne si trattennero a spettegolare con lei, come avesse appena partorito.82

I bambini si sono sempre presi cura, in modo concreto, degli adulti. Già all'epoca dei romani, ragazzi e ragazze servivano i genitori a tavola; durante il Medioevo, tutti i bambini, esclusi gli appartenenti a famiglie regnanti, si comportavano come domestici, in casa propria o altrui, spesso dovendo rientrare da scuola a mezzogiorno per servire i genitori.83 Non è qui in discussione il fenomeno del lavoro infantile, ma si deve ricordare che i bambini sbrigavano una mole considerevole di lavoro, a partire solitamente dall'età di quattro o cinque anni, molto prima che, nel secolo XIX, il fatto s'imponesse all'opinione pubblica.
La reazione di reversione si rivela con evidenza massima, comunque, nell'interazione emozionale tra adulto e bambino. Nel nostro tempo, gli assistenti sociali che fanno visita alle madri « manesche » rimangono spesso stupiti dalla sensibilità dimostrata dai piccoli nei confronti dei genitori:

Ricordo di aver visto una bambina di diciotto mesi consolare la madre, che piangeva in preda a un forte stato ansioso. Dapprima mise giù il poppatoio che stava succhiando, poi si mosse in modo da potersi avvicinare, per toccarla, e in una certa misura calmarla (ciò che a me non era neanche riuscito di tentare). Quando intuì che la madre era tornata serena, attraversò la stanza, si distese, tirò su il poppatoio e ricominciò a succhiare.84

In passato avveniva di frequente che i bambini assumessero questo ruolo. Un bambino, «.mai segnalatosi per i pianti o l'irrequietezza [...] spesso quando era ancora molto piccolo e stava in braccio alla madre, avrebbe allungato la manina per asciugare le guance materne dalle lacrime ».85 I medici cercavano di esortare le madri ad allattare esse stesse i piccoli, invece di mandarli a balia, promettendo che « come ricompensa, lui riservava mille tenerezze [...] la bacia, le accarezza i capelli, il naso e le orecchie, la vezzeggia ».86 Riguardo a questo tema ho catalogato più di cinquecento quadri, provenienti da ogni paese, ed ho scoperto che quelli che mostrano il bambino che guarda la madre, le sorride e la accarezza, sono più antichi di quelli raffiguranti la madre che guarda il piccolo, gli sorride e lo accarezza (atteggiamenti comunque rari, questi ultimi in qualsiasi dipinto).
La propensione del bambino ad avere per gli adulti attenzioni di tipo materno rappresentò molte volte la sua salvezza. M.me de Sévigné, nel 1670, decise di non portare con sé la nipotina di diciotto mesi nell'occasione di una gita che avrebbe potuto esserle fatale:

M.me du Puy-du-Fou non vuole che porti mia nipote. È del parere che significherebbe esporla ad un rischio, e alla fine sono d'accordo; non vorrei mettere in pericolo la « piccola signora », le voglio molto bene [...] È in grado di fare mille cose: parla, accarezza le persone, le picchia, si fa il segno della croce, chiede perdono, fa la riverenza, bacia la mano, fa le spallucce, balla, ti convince con maniere garbate, ti pizzica sotto il mento: in breve, è tutta un amore, con lei mi diverto per ore intere, tutti i giorni. Non voglio che muoia.87

Il bisogno di cure materne da parte dei genitori rappresentava per i figli un onere estremamente gravoso. A volte fu addirittura causa della loro morte. Una delle spiegazioni più frequenti, nel caso della morte di un bambino, era il soffocamento nel letto e sebbene sovente fosse solo un pretesto per nascondere l'infanticidio, i pediatri ammettevano che, quando era vero, ciò era dovuto al rifiuto, da parte della madre, di separarsi dal piccolo durante il sonno: « Non volendo staccarsi dal bambino, lo stringe ancora più forte mentre dorme, e così i seni gli tappano il nasino ».88 Era questa immagine da reversione del bambino come elemento rassicurante che stava dietro al monito, consuetamente rivolto ai genitori nel Medioevo, affinché non viziassero troppo i loro figlioletti, « come l'edera che uccide gli alberi che abbraccia, o come la scimmia che, per amore, stringe fra le braccia i piccoli sino a soffocarli ».89

Il principio psicologico: la doppia immagine

Il continuo oscillare tra reazioni di proiezione e reazioni di reversione, tra il bambino visto come demonio e il bambino visto come adulto, produce una « doppia immagine » che è causa di molti singolari aspetti della condizione infantile nei secoli scorsi. Abbiamo già visto come questo oscillare dall'immagine adulta all'immagine proiettata costituisca un presupposto per le percosse. Ma possiamo avere un quadro più ricco della doppia immagine esaminando nei particolari l'autentica testimonianza di un infanzia del passato: si tratta del diario tenuto da Héroard, medico di Luigi XIII che contiene annotazioni quasi giornaliere sul comportamento del bimbo e di coloro che lo circondavano. Spesso questo singolare documento ci consente di intravedere come nella mente di Héroard si producesse lo spostamento dall'una all'altra immagine, come cioè la rappresentazione del piccolo passasse dalle immagini di proiezione a quelle da reversione.
Il diario si apre con la nascita del Delfino avvenuta nel 1601: immediatamente appaiono le sue prerogative da adulto. Esce dall'utero materno tenendo tra le mani il cordone ombelicale « con tanta forza da creare dei problemi »; viene descritto come « molto muscoloso », ed il suo pianto è così sonoro che « non sembra affatto un bambino ». Attentamente esaminato il pene, lo si dichiara « ben provvisto ».
90 Dal momento che era il Delfino, si possono considerare queste prime proiezioni di qualità adulte come manifestazioni di pura e semplice ammirazione per il nuovo re; presto, pero, le immagini tendono ad accumularsi, e si ingrandisce la sua doppia immagine di adulto e di bambino vorace.

Il giorno dopo la nascita [...] le sue urla non sembravano per niente quelle di un neonato, e quando succhiava il latte dal seno lo faceva con tali poppate, e spalancava tanto la bocca, che mangiava in una volta più di quanto altri bambini mangino in tre. Di conseguenza la sua nutrice restava quasi sempre senza latte [...] Non era mai sazio.91

L'immagine del Delfino dopo la prima settimana di vita (alternativamente un piccolo Ercole, che strangola i serpenti, e un Gargantua, che necessita di 17.913 vacche per l'allattamento) è in completa contraddizione con la realtà di un bambino malaticcio, debole, impedito dalle fasce, quale emerge dallo scritto di Héroard. Sebbene decine di persone fossero incaricate di averne cura, nessuno era capace di provvedere ai suoi elementari bisogni di cibo e di riposo. Si succedevano incessantemente inutili cambi di balie, e passeggiate, e gite più lunghe.92 All'età di due mesi il Delfino si trovò in punto di morte. L'ansia di Héroard aumentava, come forma di difesa contro l'ansia la sua reazione di reversione divenne più pronunciata:

La balia gli chiede « Chi è quell'uomo? », ed egli risponde soddisfatto, col suo ciangottio, «.Erouad!.» (Héroard). Ognuno può vedere che il suo corpo non è cresciuto; e che non è stato nutrito. I muscoli del torace sono totalmente consunti, e la larga piega che aveva sulla nuca, adesso non è altro che pelle.93

A circa dieci mesi, furono fissate alla sua veste le dande: queste dovevano servire per insegnare al bambino a camminare, ma il più delle volte servivano a maneggiarlo e a controllarlo come un burattino. Questo fatto, abbinato alle reazioni da proiezione di Héroard, rende difficile capire cosa accadesse realmente, e come agissero coloro che stavano intorno al piccolo Luigi. Per esempio, ad undici mesi pare si diverta a tirar di scherma con Héroard, con tanto entusiasmo che lo « insegue ridendo per tutta la camera.»; ma un mese dopo Héroard annota: « comincia ad andare in giro sostenuto per le ascelle.» 94: dunque prima, quando aveva « inseguito » Héroard, era stato esclusivamente pilotato dalle dande. In effetti, dal momento che avrebbe potuto formulare delle frasi solo molto più tardi, si direbbe che Héroard soffra di allucinazioni quando racconta di un ospite che rende visita al Delfino di quattordici mesi, che « si gira e fissa tutti quelli che stanno allineati lungo la balaustra, va a sceglierlo e gli porge la mano, che il principe bacia. Entra M. d'Haucourt, e dice di essere venuto a baciare la veste del Delfino; egli si volta, e gli risponde che non è necessario farlo.».95
Durante lo stesso periodo, al piccolo Luigi viene attribuita un'estrema vivacità sessuale. La base proiettiva dell'attribuzione al bambino di un comportamento sessuale da adulto è evidente nella descrizione di Héroard: « il Delfino [a dodici mesi], richiama il paggio, e con un “Oh!” si alza la camiciola per mostrargli il membro [...] vuole che tutti glielo bacino [...] in compagnia di una bambina, si tira su la camicia e le mostra il membro, con tanto ardore da apparire fuori di sé ».96 Ed è solo ricordandosi che il protagonista è un bambino di quindici mesi pilotato dalle dande, che una scena come questa che segue può essere riscattata dalle massicce proiezioni di Héroard:

Il Delfino va dietro a M.lle Mercier, che urla perché M. de Montglat le ha dato uno sculaccione; anche il Delfino urla. La piccola si rifugia verso il letto. M. de Montglat la segue per sculacciarla, e lei si mette a piangere a più non posso, il Delfino la sente e attacca anche lui; si diverte, pesta i piedi, e vibra in tutto il corpo per la gioia [...] vengono chiamate le sue donne, lui le fa danzare, gioca con la piccola Margherita, la bacia, l'abbraccia; la butta a terra, le si getta sopra, tutto fremente e digrignando i denti [...] le nove in punto! [...] il Delfino si dà da fare per picchiarle le natiche con una verga. M.lle Bélier gli chiede: « Signore, cosa ha fatto M. de Montglat a M.lle Mercier? ». Lui, improvvisamente, comincia ad applaudire sorridendo, e a riscaldarsi via via sino ad essere trasportato dalla gioia, ridendo e battendo le mani per tre quarti d'ora buoni, e gettandosi a capofitto su di lei, come una persona che ha capito lo scherzo.97

Solo raramente Héroard rivela che il Delfino, in queste manovre sessuali, aveva un ruolo completamente passivo: « La marchesa gli infila spesso una mano sotto la giubba; viene messo a letto dalla bambinaia, che sta a giocare con lui e spesso gli mette le mani sotto la giubba ».98 Più di frequente, ci viene detto che veniva spogliato, portato a letto con il re, la regina, o con entrambi, o con diversi domestici, e coinvolto in manovre sessuali; tutto questo da quando era un neonato sino ai sette anni, almeno.
Un altro esempio della doppia immagine è la circoncisione. Com'è noto, ebrei, egiziani, arabi, ed altri popoli circoncidevano il prepuzio dei bambini. I motivi adottati erano molteplici, e tutti presenti nella doppia immagine da proiezione e da reversione.
Tanto per cominciare, simili mutilazioni infantili ad opera di adulti implicano proiezione e punizione per controllare le passioni proiettate. Come dice Filone, nel secolo I, la circoncisione serviva per « la recisione delle passioni che avviluppano la mente. Poiché fra tutte le passioni la più forte è il rapporto sessuale tra l'uomo e la donna, i legislatori hanno raccomandato che lo strumento di tale rapporto venga mutilato, avvertendo che questa passione prepotente deve essere tenuta a freno, e pensando che per il tramite d'essa anche tutte le altre passioni possano venir controllate ».
99 Mosè Maimonide è d'accordo:

Sono del parere che una delle ragioni a favore della circoncisione fosse la diminuzione dei rapporti sessuali e l'indebolimento degli organi sessuali; il fine era quello di comprimere l'attività di quest'organo e di lasciarlo a riposo il più possibile. Il vero proposito della circoncisione era di dare all'organo sessuale un tipo di dolore fisico che non recasse danno alla funzione naturale o alla potenza dell'individuo, ma che attenuasse il potere della passione e del desiderio.100

L'elemento di reversione nella circoncisione può essere individuato nel tema glande = capezzolo, quale risulta dai particolari di una delle forme del rituale. Il pene del piccolo è massaggiato fino all'erezione, e il prepuzio viene inciso dall'unghia del mohel oppure dal coltello, e poi strappato tutto intorno al glande. Poi il mohel succhia il sangue dal glande.101 Tutto ciò viene fatto per la stessa ragione per la quale tutti baciavano il pene del Delfino, in quanto il pene, ed in particolare il glande, rappresenta il capezzolo materno recuperato, e il sangue è il latte.102 L'idea che il sangue del bambino abbia qualità di latte magico, è antica, e sta alla base di molti atti sacrificali. Invece di esaminare questo complesso problema vorrei però concentrarmi sulla circoncisione come prodotto dell'equazione glande = capezzolo. Generalmente non si è a conoscenza del fatto che l'esposizione del glande non costituiva un problema per altri popoli oltre a quelli che praticavano la circoncisione. Dai Greci e dai Romani il glande veniva considerato sacro; la vista d'esso « provocava terrore e meraviglia » 103 e così legavano il prepuzio con una stringa, chiamata kynodesme, oppure lo fissavano con una sorta di spilla la, fibula, quest'operazione si chiamava infibulazione 104: la pratica dell'infibulazione, sia per «.pudore » sia per « contenere la lussuria », risulta seguita sporadicamente anche durante il Rinascimento e in età moderna.105
Se il prepuzio non era sufficientemente lungo per coprire il glande, si effettuava a volte un'operazione più complessa, recidendo la pelle alla base del pene e tirandola in avanti.
106
Nell'arte classica, il glande viene normalmente celato, o con il pene che termina a punta, o mostrando chiaramente il prepuzio legato, anche in caso d'erezione. Ho trovato solo due casi di glande scoperto: o per incutere timore, come nei simulacri di fallo che s'appendevano negli ingressi, o perché il pene era oggetto di fellatio.107 Per gli ebrei e anche per i romani, dunque, l'immagine da reversione era implicita nel loro atteggiamento rispetto all'equazione glande = capezzolo.

Infanticidio e pulsione di morte verso i bambini

In opere ricche di documentazione clinica, lo psicanalista Joseph Rheingold ha esaminato il desiderio di morte delle madri nei confronti dei figli 108, e non solo ha scoperto che esso è molto più diffuso di quanto si pensi, ma anche che è causato da un vigoroso tentativo di «.distruggere » la maternità per sfuggire alla punizione che, esse immaginavano, le loro stesse madri avrebbero scatenato su di loro. Rheingold cita casi di partorienti che implorano la madre di non ucciderle, e fa risalire l'origine della pulsione infanticida e dello stato depressivo post-partum non all'ostilità verso il bambino in sé, ma al bisogno di sacrificare il neonato per propiziarsi la propria madre. Il personale ospedaliero, consapevole di una pulsione omicida così diffusa, spesso non permette contatti tra la madre e il figlio per qualche tempo. Le scoperte di Rheingold, avvallate da Block, Zilboorg e altri 109, sono complesse e hanno implicazioni di vasta portata; in questa sede possiamo solo mettere in evidenza come sia diffusissimo tra le madri d'oggi tale impulso al figlicidio, accompagnato da fantasie ben note agli psicanalisti, di pugnalare, mutilare violentare, decapitare e strangolare. Penso che quanto più si va indietro nella storia, tanto più aumenti il numero di figlicidi realizzati o ideati dai genitori. La storia dell'infanticidio in Occidente deve ancora essere scritta, e non è qui il luogo per farlo. Sappiamo però già abbastanza per stabilire che, contrariamente alla diffusa opinione che l'infanticidio rappresenti un fenomeno più orientale che occidentale, esso veniva regolarmente praticato nell'antichità, su illegittimi e su legittimi, e che riguardo a questi ultimi diminuì lentamente solo durante il Medioevo, mentre i figli naturali continuarono a venire soppressi fino al secolo XIX.110
All'infanticidio nell'antichità si è data poca importanza, nonostante centinaia di eloquenti testimonianze nei classici, che lo presentano come evento comune ed accettato. I bambini venivano annegati nei fiumi, buttati in letamai e cloache, « conservati » in giare affinché morissero di fame, abbandonati sul ciglio della strada, « preda degli uccelli, cibo da squartare per le bestie feroci » (Euripide, Ione, 504). In primo luogo, qualsiasi neonato che non fosse perfetto di fattezze e taglia, o piangesse troppo, o fosse diverso da quello descritto nei libri ginecologici su « Come riconoscere il piccolo degno di essere allevato.».111, di solito veniva ucciso. Al primogenito veniva garantita la sopravvivenza 112, specie se maschio; le bambine erano, naturalmente, sottovalutate, e le istruzioni di Ilarione alla moglie Alide (I sec. a.C.) sono tipiche del modo molto franco col quale si discutevano queste cose: « Se, come mi auguro, partorirai, se è un maschio, lascia che viva, se è una femmina, abbandonala.».113
Il risultato fu un grosso squilibrio dei maschi sulle femmine, tipico dell'Occidente sino al Medioevo, allorché si ridusse di molto, probabilmente, la soppressione dei figli legittimi (quella dei figli naturali non aveva effetto sul rapporto numerico fra i due sessi, giacché in questo caso si eliminavano neonati di entrambi i sessi). Le statistiche a nostra disposizione riguardanti l'antichità mostrano una forte eccedenza di maschi; per esempio, le settantanove famiglie che conseguirono la cittadinanza di Mileto nel 228-220 a.C. circa, contavano centodiciotto maschi e ventotto femmine; trentadue famiglie avevano un figlio, mentre trentuno ne avevano due. Come osserva Jack Lindsay:

Due figli non sono inusuali, tre capitano di quando in quando, ma non viene mai allevata più di una figlia. Posidippo affermava: « anche un ricco abbandona almeno una figlia » [...] Come risulta dalla iscrizione del secolo II a Delfi, di seicento famiglie solo l'uno per cento teneva due figlie.114

La soppressione di figli legittimi anche da parte di genitori abbienti era così comune che Polibio la considera causa dello spopolamento della Grecia:

Al tempo nostro la Grecia intera è stata afflitta da un tasso di natalità minimo e da un generale decremento della popolazione, a causa dei quali fatti intere città si sono svuotate e le campagne hanno smesso di dare frutti, sebbene non ci siano state né guerre continue né epidemie [...] poiché gli uomini sono caduti in un tale stato di pretenziosità, avarizia ed indolenza, da non desiderare di sposarsi, o, se si sposano, di allevare i figli, o comunque non più di uno o due.115

Sino al secolo IV d.C., né la legislazione né l'opinione pubblica greca o romana condannarono l'infanticidio. I più grandi filosofi condividevano questa posizione. Le poche citazioni che i classicisti considerano condanne dell'infanticidio, a me suggeriscono proprio l'opposto, come quando leggiamo in Aristotele: « Per ciò che riguarda l'abbandono o l'allevamento dei neonati, deve esserci una legge che non permetta di allevare figli deformi; ma circa il numero dei bambini, se gli usi e costumi impediscono il loro abbandono, dev'essere posto un limite alla procreazione ». Analogamente Musonio Rufo, chiamato a volte « il Socrate romano », viene spesso considerato un oppositore dell'infanticidio, ma il suo frammento « Si deve allevare ogni bambino nato? » chiaramente sostiene soltanto che i fratelli non vanno uccisi perché sono molto utili.116 La maggioranza dei classici approva poi apertamente l'infanticidio: come Aristippo, per il quale un uomo può fare dei suoi figli ciò che crede, visto che « eliminiamo saliva, pidocchi, e simili, come cose inutili, pur essendo prodotte ed avendo origine da noi stessi.» 117; o come Seneca, che sottolinea come tale pratica riguardi solo i bambini malati:

Uccidiamo i cani idrofobi con un colpo sulla testa; abbattiamo il bue furioso e selvaggio; accoltelliamo la pecora malata per evitare che infetti il gregge; distruggiamo la progenie snaturata; affoghiamo anche i bambini che al momento della nascita siano deboli e anormali. Non è la rabbia, ma la ragione, che separa il nocivo dal sano.118

Il tema dell'abbandono prende largo spazio nel mito, nella tragedia, e nella commedia «.nuova.», di frequente costruita intorno al soggetto, considerato esilarante, dell'infanticidio. Nella Samia di Menandro, gran parte del divertimento è incentrato su un uomo che cerca di fare a pezzi e d'arrostire un neonato. Sempre in Menandro, nell'Arbitrato, un pastore raccoglie un neonato abbandonato, pensa di allevarlo, e infine cambia idea, considerando «.Cosa c'entro io col tirar su i bambini, e tutto il resto? ». Lo cede allora ad un altro, ma i due si azzuffano per decidere a chi tocchi la collanina del piccolo.119
L'infanticidio, d'altronde, risulta praticato fin dalla preistoria. Henri Vallois, catalogando tutti i fossili preistorici venuti alla luce (dai Pitecantropi ai Mesolitici), ha calcolato un rapporto tra i due sessi pari a 148 a 100 in favore dei maschi.120 Greci e Romani formavano effettivamente un'isola « illuminata » in un mare di popoli ancora al primitivo stadio del sacrificio infantile agli dèi, pratica che i romani cercarono invano di debellare. Il rito sacrificale che conosciamo meglio è quello dei cartaginesi, descritto da Plutarco:

I genitori erano pienamente consapevoli di offrire i loro stessi figli; coloro che non ne avevano, li compravano dai poveri, e tagliavano loro la gola, come ad agnelli o capretti; durante il rito, la madre stava lì vicino senza una lacrima o un lamento; ma se emetteva anche un solo gemito o si lasciava sfuggire una lacrima, perdeva il denaro, e il figlio veniva ugualmente sacrificato; e tutto lo spiazzo antistante la statua era pieno di folla, con un gran rumore di flauti e di tamburi, così che le urla e i lamenti non raggiungessero le orecchie della gente.121

Il sacrificio infantile è, naturalmente, la più concreta dimostrazione della tesi di Rheingold sul figlicidio come sacrificio alla madre dei genitori. Era praticato dai Celti d'Irlanda, dai Galli, dagli Scandinavi, dagli Egiziani, dai Fenici, dai Moabiti, dagli Ammoniti e, in certi periodi, dagli Israeliti.122
Gli archeologi hanno riportato alla luce i resti di migliaia di bambini sacrificati, spesso con iscrizioni che permettono di identificare la vittima come il primogenito di una famiglia nobile (tutto ciò lungo un arco di tempo che risale alla Gerico del 7000. a.C.).
123
Murare dei bambini nelle fondamenta di un edificio o nei pilastri di un ponte, per rinforzarli, è una pratica che possiamo seguire appunto dal tempo delle mura di Gerico ad una data recente, il 1843, in Germania.124 Al giorno d'oggi, quando i bambini concludono il gioco del « London Bridge is Falling Down » afferrando e tenendo stretto uno del gruppo, rappresentano in realtà il sacrificio ad una dea fluviale.125
Persino a Roma il sacrificio infantile aveva una sua vitalità clandestina. Dione riferisce che Giuliano « uccise molti fanciulli per un rito magico »; Svetonio racconta che a causa di un presagio il Senato « decretò che nessun maschio nato in quell'anno doveva essere allevato »; e Plinio il Vecchio parla di uomini che « cercavano di accaparrarsi il midollo delle gambe e il cervello dei neonati ».126
Più frequente era l'uso di uccidere i figli del nemico, spesso in grande numero 127, così che i bambini dell'aristocrazia non solo assistevano ad infanticidi nelle strade, ma erano loro stessi sotto minaccia continua di morte, a seconda delle fortune politiche dei padri.
Filone è il primo a dichiararsi apertamente contro gli orrori dell'infanticidio:

Alcuni lo fanno con le loro stesse mani; con mostruosa crudeltà e barbarie soffocano il piccolo al primo respiro, oppure lo gettano in un fiume o nelle profondità del mare, dopo avergli attaccato qualcosa di pesante per far sì che affoghi prima. Altri li abbandonano in luoghi deserti, sperando, dicono, che vengano salvati, ma lasciandoli in realtà a patire il peggior destino. Così tutte le bestie che si cibano di carne umana giungono sul posto e fanno strazio, indisturbate, dei piccoli: un bel banchetto, offerto dai loro unici difensori, coloro che più d'ogni altro dovrebbero proteggerli, i padri e le madri. Anche gli uccelli rapaci arrivano calando giù ed ingurgitano i resti.128

Sebbene durante i due secoli successivi ad Augusto si fossero realizzati dei tentativi di ridurre il calo demografico in Roma 129, pagando i genitori perché lasciassero in vita i figli, un effettivo mutamento non si manifestò che nel secolo IV. Solo nel 374 d.C. la legislazione cominciò a considerare come omicidio l'uccisione di un neonato.130 Anche l'opposizione dei Padri della Chiesa all'infanticidio si direbbe basata più sull'interesse per l'anima del genitore che per la vita del bambino. Tale inclinazione emerge, per esempio, dall'opinione di San Giustino martire, secondo il quale la ragione per cui un cristiano non dovrebbe abbandonare il figlio consiste nel rischio di incontrarlo poi magari in un bordello: « Per evitare di molestare chicchessia o di commettere noi stessi peccato, abbiamo insegnato che è male abbandonare un bambino appena nato, prima di tutto perché possiamo vedere come quasi tutti i piccoli abbandonati, non solo le femmine, ma anche i maschi, vengano avviati alla prostituzione ». 131
Allorché gli stessi Cristiani venivano accusati dell'uccisione, durante riti segreti, di bambini, erano pronti nel replicare: « Quanti, credete, di questi qui presenti, che sono assetati del sangue dei cristiani, e quanti di voi magistrati, così severi contro di noi, vorrebbero che io toccassi loro la coscienza per aver messo a morte la loro stessa prole?.».132

Dopo il Concilio di Vaison (422 d.C.), il ritrovamento di un piccolo abbandonato doveva venire annunciato in chiesa; intorno al 787 d.C., a Milano, Dateo fondò il primo asilo riservato all'infanzia abbandonata.133 Altri paesi seguirono lo stesso tipo di evoluzione.134 Ad onta di copiose testimonianze letterarie, il prolungarsi del fenomeno dell'infanticidio lungo il Medioevo è, comunque, di solito, negato dagli stessi storici, forti del fatto che i documenti ecclesiastici e altre fonti statistiche non registrano nulla al proposito. Ma se il rapporto tra i due sessi (156 a 100 nell'801; 172 a 100 nel 1391) offre un'indicazione sulla soppressione delle figlie legittime 135, e se gli illegittimi erano soppressi senza distinzione di sesso la percentuale effettiva di infanticidi nel Medioevo dovette essere notevole. Certamente Innocenzo III era a conoscenza del gran numero di donne che gettavano i figli nel Tevere, allorché aprì a Roma l'ospedale di Santo Spirito. Ancora nel 1527 un prete riconosce che «.le latrine risuonano del pianto dei bambini in esse immersi ».136 Solo recentemente si è dato l'avvio a una serie di studi specifici sull'argomento, si può comunque ritenere probabile che prima del secolo XVI fossero del tutto sporadici i casi in cui l'infanticidio veniva punito.137 Certamente, quando Vincenzo di Beauvais, nel secolo XIII, racconta di un padre sempre preoccupato per la figlia che « soffocava i suoi piccoli »; e quando i medici si lamentano per i bambini « trovati nel gelo o nelle strade, buttati via da una madre malvagia.»; e quando troviamo nell'Inghilterra anglosassone che la legge considera assassinati, salvo prova contraria, i bambini morti, possiamo accogliere tali indizi come stimoli ad una ricerca più sistematica sull'infanticidio nel Medioevo.138 E solo perché i documenti ufficiali riportano un numero modesto di nascite illegittime, certo non ci adattiamo a credere che « nella società tradizionale le persone osservano continenza sino al matrimonio », visto che molte ragazze s'adoperavano a nascondere la loro gravidanza alle madri con cui dividevano il letto 139, e che verosimilmente la tenevano nascosta anche alla Chiesa.
Da quando il materiale diventa di gran lunga più ricco, cioè dal secolo XVIII in poi
140 non vi sono più dubbi sulla notevole incidenza dell'infanticidio in tutti i paesi europei. Orfanotrofi vennero aperti dappertutto, e i bambini vi affluivano in tal numero che si registrava sempre penuria di spazio.
Anche se già nel 1741, Thomas Coram, non sopportando la vista dei bambini che morivano sui marciapiedi o languivano sui mucchi di rifiuti della metropoli, aveva fondato a Londra un ospizio per trovatelli, ancora negli anni Novanta del secolo scorso ci si poteva imbattere nelle strade londinesi in cadaveri di bambini.
141 Alla fine del secolo XIX, Louis Adamic racconta di essere stato educato nell'Europa Orientale, in un villaggio di « bambinaie assassine », cui le madri mandavano i figli affinché li sopprimessero, «.esponendoli all'aria fredda dopo un bagno caldo; nutrendoli con qualcosa che sconvolgesse loro lo stomaco e l'intestino; mischiando del gesso al latte, che impastasse le loro interiora; imbottendoli improvvisamente di cibo dopo averli lasciati a digiuno per due giorni ». Anche Adamic doveva fare la stessa fine, ma per qualche ragione la sua bambinaia lo risparmiò. La descrizione di ciò che lui vedeva quando lei eliminava gli altri bambini affidatile, fornisce un quadro della realtà emozionale sottostante ai secoli di infanticidi che abbiamo passato in rassegna.

Li amava tutti, in un modo molto suo, bizzarro e disarmante [...] Ma quando gli sventurati genitori o parenti non potevano pagare, o non pagavano di proposito, la piccola somma per il loro mantenimento [...] si sbarazzava dei piccoli [...] Un giorno tornò dalla città con un fagotto oblungo [...] mi balenò un sospetto terribile: il bimbo nella culla stava morendo! [...] Quando piangeva, sentivo che si alzava, e lo allattava al buio, borbottando « Povero, povero piccino! ». Da allora ho tentato molte volte di immaginare cosa deve aver provato stringendo al seno un bambino che sapeva destinato a morire di sua mano [...] « Povero, povero piccino! » Parlava chiaro di proposito, per essere sicura che io udissi [...] « Frutto del peccato non per colpa tua, tu sei innocente [...] Presto te ne andrai, presto, presto, poverino [...] e se te ne vai ora, non andrai all'inferno, come faresti rimanendo in vita, e crescendo, e diventando un peccatore » [...] La mattina seguente, il bambino era morto [...].142

In passato, il bambino, subito dopo la nascita, veniva circondato dall'aura della morte e dalle contromisure opportune. Sin dall'antichità, esorcismi, purificazioni e amuleti magici erano ritenuti necessari per sconfiggere la schiera di poteri mortiferi in agguato sul piccolo: acqua fredda, fuoco, sangue, vino, sale, urina, si impiegavano per lui e per l'ambiente.143 In Grecia, certi villaggi isolati conservano tuttora dei riti per tener lontana la morte:

Il neonato dorme, fasciato strettamente, in una culla di legno sospesa, completamente avvolta in una coperta, una sorta di tenda buia e senz'aria. Le madri temono gli effetti dell'aria fredda e degli spiriti diabolici [...] La casa, o la capanna, a sera si presenta come una città sotto assedio, le finestre chiuse con assi, la porta sprangata, sale ed incenso sparsi in punti strategici, come la soglia, per respingere ogni invasione del diavolo.144

Si pensava che le vecchie, simboli, secondo Rheingold, della nonna, le cui pulsioni di morte vanno respinte, avessero un « malocchio » e che sotto il loro sguardo il bambino sarebbe morto. Per allontanare le pulsioni di morte si donavano al neonato degli amuleti, generalmente a forma di pene, o un corallo, pure a forma fallica.145 Durante la crescita, le pulsioni di morte verso di lui continuavano a farsi strada. Epiteto osservava: « Che male c'è se sussurrate a voi stessi, proprio mentre state baciando vostro figlio, “Domani tu morirai”?.».146 Un italiano del Rinascimento, se un bambino faceva qualcosa di intelligente, commentava: « Non è destinato a vivere a lungo ».147 I Padri di tutti i tempi, compreso Lutero, hanno detto ai figli « Piuttosto un figlio morto che disobbediente ».148 Fenelon suggerisce di porre al bambino domande di questo genere: « Ti lasceresti tagliare la testa per andare in paradiso? ».149 Walter Scott racconta che sua madre aveva confessato di essere stata « fortemente tentata dal demonio di tagliargli la gola con le forbici, e di seppellirlo nel muschio ».150 Leopardi dice della madre: « Vedendo nei [figli] malati qualche segno di morte vicina, sentiva una gioia profonda, che cercava di dissimulare soltanto con quelli che la condannavano ».151 Le fonti sono ricche di esempi simili.
In passato, era comune lo stimolo a mutilare, bruciare, affogare, malmenare e trattare violentemente il bambino. Gli Unni erano soliti incidere le guance dei neonati maschi. Robert Pemell racconta che durante il Rinascimento, in Italia e in altri paesi, i genitori «.bruciavano il collo con un ferro rovente, oppure lasciavano gocciolare una candela di cera accesa » sul neonato per prevenire l'epilessia.
152 All'inizio dell'età moderna, si usava tagliare il frenulo della lingua del neonato, sovente con l'unghia dell'ostetrica: una sorta di circoncisione in miniatura.153 Nelle varie epoche la mutilazione dei bambini ha suscitato negli adulti pietà e riso, e ciò stava alla base della pratica, universalmente diffusa, di mutilare i bambini per poi farli elemosinare per le strade 154; risalendo all'indietro, arriviamo alle Controversie di Seneca, il quale giustifica, in una certa misura, il mutilare i bambini abbandonati:

Guardiamo i ciechi che girano per le strade appoggiati al bastone, e gli storpi, e anche quelli con le membra spezzate. Costui è senza braccia, quegli ha la spalla giù di posto per far ridere con la sua grottesca figura [...] Andiamo all'origine di tutti questi mali - un laboratorio per la fabbricazione di relitti umani - una grotta piena di membra strappate a bambini vivi [...] Che torto è stato fatto allo stato? Al contrario, questi bambini non hanno forse reso un servizio, visto che erano stati scacciati dai loro genitori? 155

A volte si adoperava come un fantoccio o una palla il bimbo in fasce. Un fratellino di Enrico IV cadde e rimase ucciso, mentre veniva lanciato per divertimento da una finestra all'altra.156 La stessa sorte toccò al piccolo conte De Marle: « Uno dei gentiluomini di servizio e la bambinaia che si prendeva cura di lui si divertivano a lanciarlo avanti e indietro attraverso una finestra aperta [...] Talvolta fingevano forse di non afferrarlo [...] Il piccolo cadde e picchiò su un gradino di pietra ».157 I medici si lamentavano dei genitori che spaccavano le ossa ai figli durante « l'abituale » lancio.158 Le bambinaie dicevano che era necessario mettere il busto ai piccoli « perché senza non si poteva farli saltare. E ricordo che un eminente chirurgo raccontava che gli avevano portato un bambino con diverse costole spezzate dalla mano di uno che lo aveva fatto saltare senza busto ».159 I dottori denunciavano anche che i bambini venivano cullati in modo violento, « per stordire il pupo, affinché non possa dar noia a quelli che si prendono cura di lui ».160 « Per questa ragione, nel secolo XVIII, si cominciarono ad usare culle fisse; Buchan sosteneva di essere contrario alle culle per via della solita « bambinaia nervosa che, invece di calmare la fortuita resistenza ad addormentarsi del piccolo già coricato, andata su tutte le furie e, nell'eccesso della sua follia e brutalità, cercava, con vocianti minacce e col fracasso della culla, di coprire le urla del bimbo, e di costringerlo al sonno ».161
I bambini rischiavano anche di rimanere congelati, a causa di una serie di altre usanze: come il battesimo, praticato immergendo lungamente il piccolo nell'acqua ghiacciata e facendolo rotolare nella neve; o come il bagno per immersione, che prevedeva ripetuti tuffi del bambino nell'acqua gelida, « con la testa sotto, e la bocca aperta per cercar di respirare ».162 Ai primi del secolo XIX, Elizabeth Grant ricorda che « nel cortile della cucina stava una larga tinozza, e spesso, lì dentro, prima della nostra terribile immersione, bisognava spaccare il ghiaccio [...] Come strillavo, pregavo, imploravo, supplicavo di venire risparmiata [...] Quasi priva di sensi, mi trasportavano nella stanza della governante [...] ».l63
Tornando, del resto, alle abitudini dei Germani, degli Sciti, dei Celti, degli Spartani (non degli Ateniesi, che adottavano altri metodi) 164, il bagno nella fredda corrente fluviale era normale; l'immersione in acqua fredda era considerata terapeutica per i bambini già dai tempi dei Romani.165 Anche metterli a letto avvolti in asciugamani freddi e bagnati andava bene, sia come corroborante sia come terapia.166 Non sorprende che Buchan, grande pediatra settecentesco, concludesse: « Almeno metà della specie umana perisce durante l'infanzia, a causa di cure inopportune e di negligenza ».167


Abbandono, allattamento, fasciatura

Sebbene si dessero eccezioni alla regola, sino al secolo XVIII il figlio di genitori facoltosi trascorreva i suoi primi anni presso la nutrice, e una volta tornato a casa, era affidato alle cure di altri domestici; a sette anni, veniva destinato a un servizio o a un apprendistato, oppure mandato a scuola, sicché il tempo che i genitori effettivamente dedicavano ai figli era minimo. Le conseguenze di questi ed altri abbandoni istituzionalizzati dei bambini da parte dei genitori raramente sono state discusse.
La più estrema ed antica forma di abbandono è la vendita in blocco di bambini. Legale al tempo di Babilonia, dev'essere stata quasi normale presso altri popoli dell'antichità.
168 Solone tentò di limitare il diritto di vendita dei figli detenuto dai genitori ad Atene, ma non è chiaro se la legge ebbe effetto.169 Eroda descrive una scena in cui si picchia un ragazzo, e gli si dice « tu sei cattivo, Kottalos, così cattivo che nessuno potrebbe trovare una buona parola per te, neanche per venderti ».170 La Chiesa ha cercato per secoli di eliminare il commercio di bambini. Teodoro, arcivescovo di Canterbury nel secolo VII, ordinò che non si potessero vendere come schiavi i figli dopo il settimo anno. A prestar fede a Giraldo di Cambrai, durante il secolo XII, gli inglesi avrebbero venduto agli irlandesi i figli come schiavi, e l'invasione normanna sarebbe stata la punizione divina per questo traffico.171 In parecchie aree, il commercio di bambini continuò sporadicamente sino ai tempi moderni: in Russia, ad esempio, fu dichiarato illegale solo nel secolo XIX.172
Un altro tipo di abbandono era rappresentato dall'uso di bambini come ostaggi politici e come pegno per debiti, uso che risale anch'esso a Babilonia.173 Sidney Painter ne descrive la variante medievale, secondo la quale era « quasi comune dare i piccoli in ostaggio per garantire un accordo e anche punire loro per la malafede dei genitori. Quando Eustace de Breteuil, marito di una figlia naturale di Enrico I, cavò gli occhi al figlio di uno dei suoi vassalli, il re permise al padre adirato di mutilare nello stesso modo la figlia di Eustace, che Enrico teneva in ostaggio ».174 Similmente, John Marshall cedette il figlio William al re Stefano, dicendo che « gli importava poco se William veniva impiccato, poiché aveva incudine e martello coi quali forgiare figli migliori »; e Francesco I, imprigionato da Carlo V, barattò i giovani figli con la sua libertà, per poi rompere prontamente l'accordo, e farli così gettare in prigione.175 In realtà, spesso era difficile distinguere l'uso di mandare i propri figli a servizio, come paggi o domestici, presso un'altra famiglia nobile, dall'uso di darli in ostaggio.
Motivi simili a quelli dell'abbandono si celavano dietro l'usanza dell'affido, normale, per tutte le classi sociali, tra Gallesi, Anglosassoni e Scandinavi: i figli venivano affidati a un'altra famiglia, dalla quale venivano allevati sino all'età di diciassette anni, dopodiché tornavano dai genitori. In Irlanda l'usanza durò sino al secolo XVIII; gli inglesi, durante il Medioevo, mandavano i loro figli appunto agli irlandesi.
176 Si trattava, in realtà, dell'estrema versione della pratica medievale di mandare, all'età di sette anni o anche prima, i bambini nobili nelle case altrui o nei monasteri, come domestici, paggi, dame di compagnia, oblati o chierici, pratica che rimase in vita sino agli albori dell'età moderna.177 Ma il fenomeno del bambino inviato a servizio in case altrui (e quello dell'apprendistato, che ne è l'equivalente per le classi sociali inferiori) 178 è così vasto e tanto ignorato da non poter essere esaminato qui, nonostante l'ovvia importanza che ebbe, in passato, nella vita dell'infanzia.
Oltre all'abbandono istituzionalizzato, si verificò spesso, sino al secolo XIX, anche quello ufficioso. I genitori cercavano con ogni mezzo di dare una giustificazione razionale all'abbandono del figlio: «
per insegnargli a parlare » (Disraeli); « per vincere la timidezza.» (Clara Barton); « per la salute » (Edmund Burke, e la figlia di Mrs. Sherwood), o in pagamento di cure mediche prestate (pazienti del Cardano e di William Douglas). A volte ammettevano, però, che ciò avveniva semplicemente perché la prole non era desiderata (Richard Baxter, Johannes Butzbach, Richard Savage, Swift, Yeats, Augustus Hare). La madre di Mrs. Hare esprime chiaramente l'occasionalità di questi abbandoni: « Si, certo, il piccolo sarà mandato non appena slattato; e, se qualcuno ne vuole, vogliate gentilmente rammentare che ne abbiamo degli altri ».179 Ovviamente, i maschi erano preferiti; una donna, nel secolo XVII, scrive così al fratello, richiedendo per sé il suo prossimo figlio: «.Se è un maschio, lo esigo; se è una femmina, sono disposta ad attendere il prossimo ».180
In ogni caso la forma prevalente di abuso istituzionalizzato era rappresentato dal mandare i bambini a balia. È questa una figura familiare nella Bibbia, nel Codice di Hammurabi, nei papiri egiziani, nella letteratura greca e latina, e la categoria risulta ben organizzata sin dai tempi di Roma, allorché le nutrici si raccoglievano presso la Colonna Lactaria per vendere i loro servizi.181
Medici e moralisti, da Galeno a Plutarco, denunciano le madri che mandano a balia i figli piuttosto che allattarli loro stesse. Ma tali ammonimenti ebbero un effetto irrilevante, se è vero che sino al secolo XVIII, i genitori che se lo potevano permettere, e molti di quelli che non potevano, spedivano i piccoli a balia immediatamente dopo la nascita, mentre le madri povere, escluse da questo vantaggio, spesso si rifiutavano di allattare, e nutrivano i i bimbi con le pappe. Contrariamente alle asserzioni di molti storici, l'usanza di non alimentare col proprio latte i neonati risale, in molte zone europee, almeno al secolo XV. Una madre proveniente dalla Germania settentrionale, dove usava l'allattamento, era considerata dalle donne bavaresi « bestiale ed oscena » perché allattava il figlio, e il marito minacciò lo sciopero della fame se non avesse smesso questa « disgustosa abitudine ».182
Per quanto riguarda l'abitudine dei ricchi di abbandonare di fatto i figli per periodi di anni, anche gli esperti che condannavano questa pratica, solitamente non usavano, nei loro trattati, termini empatici; il loro pensiero si basava piuttosto sul fatto che « la dignità del neonato viene corrotta dalla degenerata nutrizione col latte di un'estranea ».183 Vale a dire, entrava nel corpo del piccolo aristocratico il sangue delle balie di ceto proletario (si credeva che il latte non fosse altro che la schiuma bianca del sangue).184 Saltuariamente i moralisti, ovviamente tutti maschi, tradiscono il represso sentimento verso le madri che li hanno mandati a balia. Si lamenta Aulio Gellio: « Allorché un bimbo viene tolto dalla vista della madre e dato a un'altra, la forza dell'ardore materno si estingue a poco a poco [...] e il bambino viene quasi completamente dimenticato, come fosse morto ».185
Ma di solito vinceva la repressione, e il genitore veniva elogiato. E, ciò che era più importante, era assicurata la ripetizione: sebbene si sapesse benissimo che i bambini morivano in percentuale maggiore presso le balie che a casa, i genitori seguitavano a piangere la morte del figlio, ma poi consegnavano senza difficoltà anche il seguente, quasi che la balia, moderna dea della vendetta, richiedesse nuovi sacrifici.186
Sir Simonds D'Ewes, pur avendo già perso diversi figli a balia, mandò ancora il suo ultimogenito, per due anni, a « una povera donna che è stata molto maltrattata e quasi lasciata morire di fame da uno sciagurato marito, essendo per parte sua di temperamento orgoglioso, irritabile ed ostinato; il che, alla fine, condusse alla rovina e alla distruzione del nostro più dolce e tenero piccolino ».187
Ad eccezione dei casi in cui la balia era accolta in casa, i bambini rimanevano presso di lei da due a cinque anni. Le condizioni erano simili in ogni paese. Jacques Guillemaeau riferisce che un bambino a balia può essere « soffocato, schiacciato, lasciato cadere, e giungere così ad una morte prematura; oppure può essere divorato, ferito, sfigurato da qualche bestia, lupo o cane, dopodiché la nutrice, per paura di venir punita per la sua negligenza, può prendere al suo posto un altro neonato ».
188 Robert Pemell cita il parroco della sua parrocchia, che, quando costui arrivò per la prima volta, era « piena di poppanti di Londra, eppure, in un anno lui li aveva seppelliti tutti, tranne due ».189 In Inghilterra e in America la pratica continuò inesorabilmente fino al secolo XVIII, in Francia al XIX, in Germania arrivò al XX.190 L'Inghilterra era in anticipo rispetto al continente, visto che donne appartenenti a ceti sociali medio-alti allattavano il figlio già dal secolo XVII.191 E non si trattava solo di una questione di amoralità dei ricchi: nel 1653 Robert Pemell si lamentava dell'abitudine « delle signore, altolocate o no, di affidare i loro bambini a irresponsabili donne di campagna »; e ancora nel 1780 il capo della Polizia di Parigi stabiliva che, dei ventunmila bambini nati ogni anno nella città, diciassettemila erano mandati in campagna a balia, due o tremila erano piazzati negli asili nido, settecento avevano la balia in casa, e solo settecento venivano allattati dalla madre.192


TAVOLA I. Età (in mesi) allo svezzamento


Fonte 193

Mesi

Data appross.

Nazionalità


Contratto di balia

24

367 a.C.

greca

Sorano

12-24

100 d.C.

romana

Macrobio

35

400

romana

Barberino

24

1314

italiana

Metlinger

10-24

1497

tedesca

Jane Grey

18

1538

inglese

John Greene

9

1540

inglese

E. Roesslin

12

1540

tedesca

Sabine Johnson

34

1540

inglese

John Dee

8-14

1550

inglese

G. Mercuriale

15-30

1552

italiana

John Jones

7-36

1579

inglese

Luigi XIII

25

1603

francese

John Evelyn

14

1620

inglese

Ralph Joesslin

12-19

1643-79

inglese

John Pechey

10-12

1697

inglese

James Nelson

3-4

1753

inglese

Nicholas Culpepper

12-48

1762

inglese

William Cadogan

4

1770

inglese

H.W. Tytler

6

1797

inglese

S.T. Coleridge

15

1807

inglese

Eliza Warren

12

1810

inglese

Caleb Tickner

10-12

1839

inglese

Mary Mallard

15

1859

americana

Statistica tedesca

1-6

1878-82

tedesca






Il periodo effettivamente trascorso a balia varia di molto, a secondo dell'epoca e della zona. La Tavola I elenca le testimonianze che sono riuscito a raccogliere sinora. Nella misura in cui essa indica le tendenze generali, è possibile che all'inizio dell'età moderna si sia abbreviato il tempo trascorso a balia, forse come conseguenza d'una diminuzione delle cure di tipo proiettivo. È anche vero che i dati sullo svezzamento diventano via via più precisi, perché i bambini sono sempre meno confinati presso la nutrice; Roesslin, per esempio, osserva: « Avicenna consiglia di allattare il bambino due anni, come può essere che da noi la maggior parte poppa solo un anno... ».194 Sicuramente l'osservazione di Alice Ryerson sul fatto che « l'età dello svezzamento, di fatto, s'abbassò drasticamente intorno al 1750 », pecca di superficialità.195 Benché si presumesse che le balie s'astenessero dall'avere rapporti sessuali durante l'allattamento, ciò avveniva di rado, e di solito lo svezzamento precedeva la nascita di un altro figlio; in Occidente, dunque, un allattamento protratto per più di due anni deve essere stato sempre eccezionale.

Recipienti per nutrire i bambini, di vario tipo e forma, sono conosciuti sin dal 2000 a.C.; si usava latte di vacca e di capra quando disponibile, e spesso il piccolo veniva attaccato direttamente al capezzolo dell'animale per la poppata.196 La pappa, generalmente fatta con pane o farina bagnati in acqua o latte, integrava o sostituiva il latte materno dalle prime settimane di vita, e a volte i bambini ne venivano ingozzati sino a provocarne il vomito.197 Qualsiasi altro cibo, prima di essere somministrato al bimbo, veniva masticato dalla balia.198 Oppio e bevande alcoliche si propinarono in ogni tempo, per far cessare le urla dei piccoli. Il papiro di Ebers parla dell'efficacia di una miscela di semi di papavero e di sterco di mosca: «.Agisce subito! ». Nel 1799 il dottor Hume si lagnava delle migliaia di bambini uccisi ogni anno dalle bambinaie: « Fanno bere loro di continuo del cordiale Godfrey, che è un forte narcotico, e alla fine mortale quanto l'arsenico. Così pretendono di farli star buoni, ma in questo modo molti se ne stanno buoni per sempre ». Dosi di liquore venivano quotidianamente « somministrate alla piccola creatura che è incapace di rifiutare, ma dimostra la sua avversione divincolandosi e facendo smorfie ».199
Le fonti accennano anche all'insufficiente alimentazione infantile. I figli dei poveri, com'è ovvio, spesso hanno sofferto la fame, ma si suppone che anche a quelli dei ricchi, in particolar modo alle femmine, venissero servite razioni scarsissime, e poca o niente carne. È famosa la descrizione fatta da Plutarco della « dieta della fame » osservata dai giovani di Sparta; ma dal numero di testimonianze sulla frugalità dei pasti, sull'allattamento solo due o tre volte al giorno, sui digiuni, e sulla privazione di cibo adottata come punizione, viene da sospettare che, come i genitori odierni esagerano, i genitori del passato ritenessero gravoso il controllare che i figli venissero adeguatamente nutriti.200 Le autobiografie, da Sant'Agostino a Baxter, confessano il peccato di gola commesso da bambini col furto della frutta; nessuno ha mai pensato di chiedersi se lo abbiano fatto per fame.201
Usanza quasi universale era legare in vario modo il bambino. La fasciatura rappresenta l'avvenimento centrale dei primi anni di vita. Come abbiamo già visto, il condizionamento fisico era ritenuto necessario, dato che il bambino, oggetto di proiezioni adulte, se fosse stato libero, si sarebbe graffiati gli occhi, strappate le orecchie, spezzate le gambe, distorte le ossa, sarebbe rimasto terrorizzato dalla vista delle sue membra e avrebbe camminato carponi come un animale.202 La tradizionale fasciatura è più o meno la stessa in ogni tempo e luogo, consistendo nel « privare interamente il bambino dell'uso delle membra, avvolgendolo in una lunghissima benda, in modo da farlo sembrare un ceppo di legna; la pelle a volte si scorticava, la carne era compressa quasi fino alla cancrena, la circolazione quasi arrestata, e il piccolo non aveva la minima possibilità di movimento. La sua cintura era stretta dal busto [...] La testa era compressa nella forma suggerita dalla fantasia dell'ostetrica, e la forma del corpo mantenuta da un'opportuna pressione ».203
Fasciare un bambino era un'operazione tanto complessa da richiedere anche due ore.204 Agli adulti questa pratica conveniva enormemente: una volta fasciato, il piccolo abbisognava di pochissima attenzione. Come ha dimostrato un recente studio medico, i neonati fasciati sono estremamente passivi. il cuore rallenta i battiti, piangono meno, dormono molto di più, e sono generalmente così remissivi e inerti che i medici che presentarono lo studio si chiesero se non fosse il caso di riadottare le fasce.205 Le fonti storiche confermano questo quadro; i medici, sin dall'antichità erano d'accordo nel sostenere che « l'insonnia non viene ai bambini naturalmente né per abitudine, poiché dormono sempre »; e si parlava di bambini appesi ai pioli della parete, collocati in tinozze, e, più generalmente, « lasciati, come un pacco, in qualsiasi angolo comodo ».206 Le fasce risultano adottate in quasi tutti i paesi. Anche nell'antico Egitto, dove i bambini non venivano fasciati, si sostiene, poiché i dipinti li mostrano nudi, le fasce devono essere state usate, poiché Ippocrate scrive che gli Egiziani praticavano quest'uso, e alcune statuette riproducono fasciature.207 Le poche zone in cui i bambini non venivano fasciati, come nell'antica Sparta e nella regione montuosa del nord della Scozia, erano quelle delle più rigide pratiche d'irrobustimento: l'unica possibilità di scelta, insomma. era fra le fasce e il venir fatto correre nudo nella neve.208 Era così ovvio fasciare i bambini che, prima che avesse inizio l'età moderna, le testimonianze sulla durata del relativo periodo sono abbastanza frammentarie. Sorano dice che i romani venivano sfasciati tra i quaranta e i sessanta giorni di vita; auguriamoci che ciò sia più esatto dei due anni di Platone.209 Le fasce rigide, spesso collegate ad un'assicella, furono in uso per tutto il Medioevo, ma non sono ancora riuscito a scoprire per quanti mesi.210
I pochi documenti relativi ai secoli XVI e XVII, e inoltre uno studio sull'arte di tale periodo, lasciano supporre che allora venisse dapprima fasciato tutto il corpo, per un periodo da uno a quattro mesi, e che poi venissero liberate le braccia, mentre il resto dei corpo e le gambe rimanevano costretti da sei a nove mesi.211 Gli inglesi furono i primi a smettere di fasciare i figli, così come furono i primi a smettere di mandarli a balia. La pratica della fasciatura in Inghilterra e in America fu abbandonata alla fine del secolo XVIII in Francia e in Germania durante il secolo XIX.212
Una volta liberato il neonato dalle fasce, continuavano costrizioni fisiche di ogni tipo, varianti a seconda del paese e dell'epoca. A volte si legava il povero piccino alla sedia per impedirgli di camminare carponi. Sino al secolo XIX venivano attaccate ai vestiti le dande per controllare il bambino e guidarlo. Entrambi i sessi dovevano, non di rado, indossare corsetti di osso, legno o ferro. Mentre studiavano, i ragazzi venivano talvolta assicurati a schienali di sostegno, con i piedi in blocchi di legno, mentre un collare di ferro o altri congegni analoghi servivano per « correggere la loro posa »; ecco la singolare descrizione di Francis Kemble: « un'orribile macchina di tortura del tipo d'uno schienale, costruita in acciaio e ricoperta di cuoio rosso, con una parte rigida applicata dietro, assicurata alla cintola da una cintura, e fermata da due spalline alle spalle; dal mezzo partiva un'asta di acciaio, con un collare pure d'acciaio che mi circondava la gola e mi teneva eretto ».213 Risulta che tali dispositivi fossero più usati dal secolo XVI al XIX che durante il Medioevo, ma il dato potrebbe essere causato dalla povertà delle fonti relative a questo periodo. Due usanze comunque, erano probabilmente comuni ad ogni paese già dall'antichità: anzitutto, l'abbigliamento più leggero possibile per favorire l'irrobustimento del bimbo; poi una sorta di sgabello, che si presumeva lo aiutasse a camminare, ma in realtà veniva usato per evitare che camminasse carponi, cosa considerata « animalesca ». Felix Würtz (1563) descrive così gli inconvenienti di questi oggetti:

Esistono sgabelli per bambini coi quali essi possono girare ovunque; quando le madri e le bambinaie li vedono muniti d'essi non si preoccupano più, li lasciano soli, vanno per i fatti loro supponendo che siano al sicuro, ma pensano ben poco al dolore e al tormento dei piccini [...] il povero bambino [...] deve stare ritto forse per ore, laddove anche mezz'ora sarebbe lunga [...] Io vorrei che tutti gli sgabelli di questo tipo venissero bruciati...214


Addestramento alla pulizia, disciplina e sesso

Sebbene già dall'antichità esistessero seggiole provviste di vaso da notte sottostante, prima del secolo XVIII non ci sono testimonianze sull'addestramento alla pulizia nei primi mesi di vita del neonato. Benché i genitori si lagnassero spesso, come Lutero, di come i figli «.insudiciavano gli angoli », e nonostante i rimedi prescritti dai medici, comprese le frustate, per la « pipì a letto » (normalmente i bimbi dormivano con gli adulti), la lotta tra genitori e figli per il controllo dell'urina e delle feci è un'invenzione del secolo XVIII, il prodotto di un avanzato stato psicogenetico.215
Ovviamente i bambini sono sempre stati identificati con i loro escrementi; i neonati erano chiamati ecréme, e il latino merda sta all'origine del francese merdeux, che significa bambino.216 Ma, prima del secolo XVIII, i sistemi connessi con l'interno del corpo del bambino erano gli enteroclismi e i purganti, non il vasino. Ai bambini venivano somministrati supposte, clisteri e purghe, sia che fossero malati sia che fossero in perfetta salute. Un'autorità seicentesca dichiarò che i neonati dovevano essere purgati prima di ogni poppata, così il latte non si sarebbe mescolato con le feci.217 Il diario della vita di Luigi XIII, steso da Héroard, è pieno di accurate descrizioni di ciò che entrava ed usciva dal corpo del piccolo Luigi, al quale, durante l'infanzia, vennero somministrate migliaia di purghe, supposte e clisteri. L'urina e le feci del bimbo erano esaminate spesso per determinare il suo stato interno. La descrizione di questo procedimento, fatta da David Hunt, rivela chiaramente l'origine di quello che io chiamo il « toilet-child »:

Si pensava che nell'intestino dei bambini albergasse una sostanza che comunicava col mondo degli adulti in tono di minaccia, con insolenza, malizia e insubordinazione. Il fatto che gli escrementi del bambino fossero sgradevoli alla vista e all'olfatto significava che egli stesso era mal disposto alla collaborazione; gli escrementi, dai quali veniva regolarmente ripulito, erano ritenuti l'oltraggioso messaggio di un demone interiore, rivelatori dei « cattivi umori » che si celavano in lui.218

Fu solo nel secolo XVIII che il fulcro si spostò dall'enteroclisma al vasino. Non solo l'addestramento alla pulizia iniziò ad una minore età, in parte come risultato della diminuzione dell'uso delle fasce, ma l'intero processo di controllo, da parte del bambino, dei suoi rifiuti organici fu investito di un'importanza, a livello emozionale, precedentemente sconosciuta. Il combattere con la volontà di un bambino di pochi mesi misurava la forza del coinvolgimento tra genitori e figli, e rappresentava un progresso, dal punto di vista psicologico, rispetto al regno dell'enteroclisma.219
Durante il secolo XIX i genitori facevano iniziare in modo sistematico l'addestramento al controllo degli sfinteri già dai primi mesi di vita, e alla fine del secolo finirono per pretendere una tale abitudine alla pulizia che il bambino ideale veniva descritto come uno che « non può tollerare neanche per un minuto di avere del sudiciume nel corpo, negli abiti o nell'ambiente che lo circonda ».220 Anche al giorno d'oggi, la maggior parte dei genitori inglesi e tedeschi inizia l'addestramento prima che il bambino abbia raggiunto i sei mesi; in America la media si aggira intorno ai nove mesi, ed è maggiore il raggio d'azione.221
Le testimonianze da me raccolte sui metodi disciplinari inducono a credere che una grossa percentuale dei bambini nati prima del secolo XVIII fossero ciò che oggi si potrebbe chiamare « bambini picchiati ». Dalle duecento e più raccolte di consigli sull'educazione della prole (tutte antecedenti al secolo XVIII) da me esaminate, la maggior parte approva le punizioni corporali più severe, e tutte ne ammettono l'uso in svariate circostanze, ad eccezione di Plutarco, Palmieri e Sadoleto, i quali si rivolgono a padri ed insegnanti, senza neanche menzionare le madri.222 Dalle settanta biografie di bambini, sempre anteriori al secolo XVIII, risulta che tutti venivano picchiati, tranne uno: la figlia di Montaigne. Sfortunatamente, i saggi di Montaigne sui bambini sono così pieni di contraddizioni che non si sa se credere a questo dato. Egli è famoso, per lo più, perché si vanta del fatto che il padre era tanto gentile con lui da assoldare, tutte le mattine, un musicista che lo svegliasse col suono del suo strumento, così da non far trasalire il suo delicato cervellino.
Ammesso che sia vero, questa strana vita familiare può essere durata solo due o tre anni, in quanto egli fu poi mandato a balia in un altro villaggio, restandovi per diversi anni, e dai sei ai tredici anni frequentò la scuola in un'altra città, poiché il padre lo giudicava «.indolente, tardo e incapace di ritenere ». Quando constata che la figlia, che « ha più di sei anni, e non è mai stata guidata o punita per le sue colpe infantili [...] se non con le parole », la bambina ha in effetti undici anni. Altrove ammette, a proposito dei suoi figli: « Non ho mai tollerato di buon grado che venissero allevati vicino a me ».
223 E così dovremmo forse riservarci di esprimere un giudizio sull'unico bambino non picchiato (l'esauriente studio di Peiper circa la letteratura sulle percosse giunge a conclusioni simili alle mie).224
Gli strumenti erano fruste di ogni tipo, compreso il gatto a nove code, verghe, bacchette di ferro o di legno, fasci di bastoni, la disciplina (una frusta fatta di tante catenelle); e ce n'era di speciali per la scuola, come un aggeggio che terminava a forma di pera, con un foro rotondo per far venire le vesciche. La frequenza del loro uso può essere indicata dalle statistiche di quell'insegnante tedesco che calcolava di aver somministrato 911.527 bastonate, 124.000 frustate, 136.715 ceffoni, e 1.115.800 scapaccioni.225 Le punizioni corporali descritte dalle fonti generalmente erano dure, provocavano lividi e fuoriuscita di sangue, iniziavano presto e costituivano una costante nella vita del bambino.
Anno dopo anno i bambini picchiati crescevano, e a loro volta picchiavano i figli. Raramente si avevano pubbliche proteste. Anche umanisti ed educatori in fama di grande gentilezza, come Petrarca, Ascham, Comenio e Pestalozzi approvavano il sistema.
226 La moglie di Milton non sopportava le urla del nipote percosso dal marito, Beethoven picchiava i figli con un ferro da calza, a volta li mordeva persino.227 Anche gli appartenenti a famiglie regali non erano esenti dalle punizioni dure, come conferma l'infanzia di Luigi XIII. Al posto di suo padre, a tavola, stava un frustino, e a diciassette mesi il Delfino era già capace di non piangere quando lo frustavano. A partire dall'età di due anni subì frustate regolari, spesso inflitte sulla nuda pelle; gli venivano somministrate al risveglio, e lui poi le riviveva in incubi notturni. Già proclamato re, ancora si destava durante la notte in preda al terrore, in attesa delle frustate mattutine. Ne ebbe anche il giorno prima della sua incoronazione, a Otto anni, e dichiarò: « Farei a meno di tanti omaggi ed ossequi purché non mi avessero frustato.».228 Dato che soprattutto i neonati non fasciati erano sottoposti alle pratiche per irrobustire il corpo, forse una delle funzioni delle fasce era quella di ridurre l'inclinazione dei genitori a maltrattare i figli. Non ho ancora trovato memoria di un adulto che picchiasse un bambino in fasce. In ogni caso, si percuotevano spesso, sfasciati, anche i bambini più piccoli, sicuro segno di una sindrome « da picchiatore ».
Susannah Wesley diceva, dei suoi piccoli « Passato il primo anno, avevano già imparato a temere la bacchetta, e a piangere sommessamente ». Giovanni Dominici ammetteva il dare ai figli « spesse, non furiose battiture ». Rousseau sosteneva che i bambini, durante i primi giorni di vita, venivano picchiati spesso, per tenerli tranquilli. Una madre scrive, della sua prima battaglia col figlio di quattro mesi: « Lo frustai fino a farlo diventare tutto un livido, fino a che non potei più frustarlo, e lui non cedette di un millimetro ». Si potrebbe facilmente continuare con gli esempi.
229 Un curioso metodo punitivo, inflitto ad Alcuino da bimbo consisteva nel tagliare o pungere le piante dei piedi con uno strumento simile a un coltello da calzolaio. Ciò fa venir in mente l'abitudine del vescovo di Ely di pungere i suoi giovani domestici con un pungolo che teneva sempre in mano. Quando Jane Grey si lamenta dei genitori che le infliggevano « colpi e punture », e Thomas Tusser parla di « labbra gonfie, di scherni e punture », potrebbe essersi trattato di un pungolo. Se ulteriori ricerche dovessero dimostrare che questo strumento veniva usato sui bambini anche nell'antichità, si presenterebbe in un'altra luce l'omicidio del padre Laio da parte di Edipo, a ciò letteralmente «.pungolato.», in quanto Laio lo aveva colpito sulla testa « col suo pungolo a due punte.».230
Sebbene le fonti più antiche siano piuttosto vaghe sulla violenza dei metodi disciplinari, in Occidente sembra accertato un continuo e progressivo miglioramento. L'antichità annovera tutta una serie di strumenti e tecniche fortunatamente non più applicate in seguito, come i ferri alle caviglie, le manette, i bavagli, e le sanguinose gare spartane di flagellazione, che spesse causavano la morte dei giovani.231 Un'usanza anglosassone, evocata da Thrupp, rende idea dell'opinione che si aveva dei bambini in epoche primitive: « Era abitudine, quando si desiderava accaparrarsi un testimone legale per qualsiasi cerimonia, ottenere la sua testimonianza per mezzo dei bambini, che venivano lì per lì flagellati con insolita severità; si credeva che questo avrebbe conferito maggior peso ad ogni prova contenuta nel verbale ».232 Una legge del secolo XIII solleva il problema: « Se si picchia a sangue un bambino, questi se ne ricorderà; ma se lo si picchia fino alla morte, si applicherà la legge ».233 Dalle descrizioni, la maggior parte delle punizioni risultano violente, sebbene Sant'Anselmo anticipasse i tempi, come in molte altre cose, suggerendo a un abate di picchiare i bambini con delicatezza: « Non sono esseri umani? Non sono di carne e di sangue come te? ».234 Ma è solo durante il Rinascimento che gli ammonimenti a moderare le percosse prendono il via seriamente, benché accompagnati dal benestare sulle punizioni inflitte con giudizio. Come osservava Bartolomew Batty, i genitori devono «.tenere il giusto mezzo », il che significa che non dovrebbero « colpire e schiaffeggiare i figli in viso e sulla testa, o bastonarli come sacchi di farina con mazze, bastoni, forconi o palette del camino », causandone la morte; il modo giusto era di « picchiarli sui fianchi [...] con la bacchetta, non moriranno per questo.235
Durante il secolo XVII si fecero altri sforzi per porre un limite alle percosse, ma fu il secolo seguente a registrarne il calo maggiore: le prime notizie al proposito risalgono appunto al periodo compreso tra il 1690 e il 1750.236 In Europa e in America le frustate andarono fuori moda solo durante il secolo XIX, mentre in Germania continuarono più a lungo: qui l'ottanta per cento dei genitori ammette tuttora le punizioni corporali, e un buon trentacinque per cento è favorevole all'uso della verga.237
Dal momento che le percosse cadevano in disuso, si rendeva necessario trovare qualcosa che le sostituisse. Per esempio, durante i secoli XVIII e XIX si diffuse l'abitudine di rinchiudere i bambini in gattabuia. Venivano relegati in « stanzini scuri, e qui dimenticati, a volte, per ore ». Una madre imprigionò il figlio di tre anni in un cassetto. Un'altra casa era « una specie di piccola Bastiglia, con un condannato in ogni stanzino: alcuni singhiozzavano e ripetevano a memoria i verbi, altri mangiavano la loro razione di pane e acqua ». Capitava talvolta che i piccoli venissero lasciati in stanze chiuse per interi giorni. Un maschietto francese di cinque anni, visitando il nuovo appartamento con la madre, le chiese: « Oh no, mamma [...] è impossibile: non ci sono stanzini bui! Dove potresti mettermi quando faccio il monello? ».238
Raccogliere testimonianze sui fatti riguardanti la vita sessuale dei bambini presenta difficoltà ancora maggiori: alla reticenza e all'atteggiamento repressivo delle fonti si aggiunge l'irreperibilità della maggior parte dei libri, manoscritti e oggetti che stanno alla base delle nostre ricerche. La maggior parte dei bibliotecari conserva concezioni ancora vittoriane nei riguardi del sesso, e il grosso delle testimonianze relative rimane sottochiave nei magazzini delle biblioteche e dei musei di tutt'Europa, irraggiungibile anche per lo storico. Nonostante ciò, è possibile reperire nelle fonti già in nostro possesso dati sufficienti per capire che in passato le violenze sessuali sui bambini abbondavano, e che le rigide punizioni inferte per i loro desideri sessuali negli ultimi duecento anni, erano il risultato di un avanzato stadio psicogenetico, nell'ambito del quale gli adulti usavano il piccolo per frenare, piuttosto che per sfogare, le proprie fantasie sessuali. Nelle violenze sessuali, come in quelle fisiche, il bambino era solo una vittima casuale, in misura del ruolo da esso sostenuto nell'apparato difensivo dell'adulto.
Durante l'antichità, il bambino trascorreva i primi anni di vita in un clima di violenza sessuale. Crescere in Grecia e a Roma spesso significava essere usato sessualmente dagli uomini più vecchi. La forma e la frequenza delle violenze variavano a seconda dell'area e del periodo. A Creta e in Boezia, avvenivano normalmente matrimoni e lune di miele tra omosessuali. Tra gli appartenenti all'aristocrazia romana, pratiche sessuali di questo tipo si verificavano meno di frequente, ma violenze sessuali d'altro genere erano comuni.
239 Tutte le città avevano bordelli con ragazzi, e ad Atene si poteva persino affittare la loro compagnia. Anche dove l'omosessualità con i liberi era scoraggiata dalla legge, si abusava degli schiavi, e ai ragazzi nati liberi poteva capitare di vedere il padre accompagnarsi con dei ragazzi. Si vendevano i bambini per il concubinato; Musonio Rufo si chiedeva se fosse giustificabile uno di questi, quando opponesse resistenza: « Conoscevo un padre così depravato che avviò per denaro il figlio, di vistosa bellezza, ad una vita di turpitudini. Ora, se quel ragazzo venduto e iniziato dal padre a una tale vita si fosse rifiutato di andare, potremmo dire che è stato disobbediente? ».240 La principale critica opposta da Aristotele all'idea di Platone di tenere in comune i figli, si basa sul fatto che gli uomini, avendo rapporti sessuali coi ragazzi, non avrebbero poi saputo se erano i loro figli, cosa che il filosofo giudicava la più indecente.241 Plutarco sostiene che la ragione per la quale a Roma i ragazzi nati liberi portavano una palla d'oro al collo, era di permettere agli uomini coi quali si fossero trovati insieme nudi, di identificare quelli non disponibili per rapporti sessuali.242
Plutarco è solo una delle tanti fonti che confermano come la violenza sessuale non avvenisse esclusivamente sui ragazzi che avessero raggiunto gli undici o dodici anni (che è ciò che invece afferma la maggioranza degli ateniesi). Durante l'antichità violenze sessuali su bambini più piccoli, da parte di pedagoghi e insegnanti, dovevano avvenire regolarmente. Sebbene fossero in funzione leggi d'ogni tipo per tentare di limitare gli assalti da parte degli adulti, gli insegnanti usavano sovente le loro lunghe e pesanti bacchette per minacciare gli alunni. Quintiliano, dopo parecchi anni d'insegnamento a Roma, mette in guardia i genitori contro le frequenti violenze da parte degli insegnanti, e su questo basa la sua disapprovazione delle punizioni corporali nelle scuole:

Ai ragazzi percossi sono capitati, per dolore o per paura, molti inconvenienti indecorosi a dirsi e destinati ad essere motivo di vergogna per l'avvenire: col risultato di creare un complesso di timidezza che li scoraggia, li abbatte e suggerisce loro la noia della vita e il desiderio del suicidio. E davvero, se troppo scarsa è stata la cura nella scelta dei sorveglianti e dei precettori, fa persino vergogna dire per quali infamie codesti scellerati abusino sconciamente del diritto di picchiare i ragazzi e quale opportunità il terrore di questi infelici offra anche agli altri. Non mi soffermerò su questo punto: è anche troppo quel che se ne può capire.243

Eschine cita alcune leggi ateniesi, miranti a limitare gli assalti sessuali a danno dei piccoli scolari:

... considerando il caso degli insegnanti [...] è chiaro che il legislatore diffida di loro [...] Si vieta agli insegnanti di aprire le aule, o agli allenatori ginnici le palestre di lotta, prima dell'alba, e si ordina loro di chiuderne le porte prima del tramonto; questo perché si sospetta, in sommo grado, del fatto che restino soli o nell'oscurità con un ragazzo.244

Quando perseguì legalmente Trimarco con l'accusa di esercitare la prostituzione, Eschine citò diversi uomini che ammettevano di aver pagato per sodomizzare il ragazzo. L'oratore ammetteva che molti, compreso lui stesso, erano stati usati durante l'infanzia per scopi sessuali, però non pagati, perché questo avrebbe reso la cosa illegale.245 Prove sulla violenza a danno di bimbi più piccoli ci vengono fornite dalla letteratura e dall'arte. Petronio ama dipingere adulti che toccano l'« affarino acerbo » dei ragazzi, e la sua descrizione dello stupro di una bambina di sette anni, con le donne che applaudono intorno al letto, indica il ruolo giocato dalle donne nell'ambito di questo fenomeno storico.246 Aristotele osserva che l'omosessualità spesso diventa abituale in « coloro di cui si abusa fin dall'infanzia ». Si è supposto che i bambini nudi in atto di servire adulti, rappresentati nelle scene erotiche della pittura vascolare, fossero di ceto servile; ma dato il ruolo di serventi assunto abitualmente dai figli dei nobili, non possiamo escludere che essi appartenessero invece alla famiglia: tanto più che Quintiliano, a proposito dei piccoli del patriziato romano, osserva: « La nostra soddisfazione è grande, se diranno qualcosa di piccante. Accogliamo con risa e baci parole che non si dovrebbero permettere neppure alle scurrilità alessandrine [...] siamo noi che gliele insegnamo, da noi le ascoltano, vedono le nostre amiche, i nostri concubini; ogni banchetto echeggia di canzoni oscene, si permette loro di assistere a spettacoli, il cui nome basta a far arrossire ».247
Anche gli ebrei, che combattevano l'omosessualità tra adulti con pene rigorose, erano più indulgenti nel caso dei ragazzi. Nonostante il duro monito di Mosè contro la corruzione dei bambini, mentre la sanzione penale per sodomia su bambini sopra i nove anni prevedeva la morte per lapidazione, copulare con bambini di età inferiore non era considerato atto sessuale, ed era punito solo con le frustate, « a motivo di ordine pubblico.».248
Va ricordato che tali diffusissime violenze potevano avvenire solo grazie alla complicità, magari inconsapevole, dei genitori. Nel passato essi tenevano totalmente sotto controllo i figli, e dipendeva da loro darli in dominio a chi, eventualmente, ne avrebbe abusato. Plutarco riflette sull'importanza, per un padre, di una simile decisione:

Rimango in forse sopra quello che ancora mi rimane da dire [...] se ai giovani si debba concedere che abbiano amici di molta dimestichezza, e con essi conversino; ovvero se il meglio sia tenerli lontani dalla compagnia di costoro. Veramente quando io penso alla opinione affermata nella mente di alcuni padri di austeri costumi, che tali conversazioni siano intollerabili, come quelle che sono cagione della corruttela dei giovani, non mi pare di doverle approvare. [...] E senza ripetere i graziosi e gravi insieme ordinamenti di Platone, dirò in breve che si deve amare la bellezza dell'animo, e non quella del corpo.249

Come quegli adulti che abbiamo visto abusare dei piccolo Luigi XIII, così greci e romani non potevano tener le mani lontano dai bambini, anche dai più piccoli. Svetonio condanna Tiberio perché « addestrò fanciulli ancor tenerelli, da lui chiamati pesciolini, a guizzargli tra le cosce mentre nuotava [...] ed anche si faceva accostare al membro, come a un capezzolo, bimbi già alquanto cresciuti ma non ancor divezzati dalla nutrice ». Svetonio potrà magari avere inventato la storia, ma aveva ovviamente ragione di pensare che i suoi lettori gli avrebbero creduto. Così, a quanto sembra, fece anche Tacito, che racconta lo stesso episodio.250
La pratica sessuale esercitata di preferenza con i bambini, non era però la fellatio, bensì il rapporto anale. Marziale dice che, mentre si sodomizza un ragazzo, non si dovrebbe «.accarezzare quelle parti con mano stupratrice [...] Del maschio spartizione così fece natura: una parte alle donne, agli uomini l'altra. Godi questa ». Questo perché la masturbazione avrebbe « affrettato la virilità » nei ragazzi, osservazione fatta in precedenza da Aristotele. Quando una pittura vascolare mostra un ragazzo in età prepuberale usato sessualmente, il pene non è mai eretto.251 Per gli uomini dell'antichità non esistevano omosessuali veri e propri, come per noi, ma un modello psichico assai inferiore, che penso dovrebbe essere denominato « bisessuale » (essi stessi usavano il termine « ambidestro »). Mentre l'omosessuale vive gli uomini come un rifugio dalle donne, come una difesa contro il complesso di Edipo, il bisessuale non ha mai realmente raggiunto il livello di Edipo e si accoppia con uomini e donne quasi senza distinzione.252 Infatti, come osserva la psicanalista Joan McDougall, il fine primario di questo tipo di perversione è di dimostrare che « non esiste differenza tra i sessi ». La McDougall lo giudica un tentativo di controllare i traumi sessuali infantili tramite la reversione, per cui l'adulto mette un altro bambino in una condizione di non difesa, e di risolvere l'ansia di castrazione provando che questa « non danneggia in quanto è la vera condizione per il risveglio dei sensi ».253 Tutto ciò rende bene l'idea degli uomini dell'antichità. I rapporti sessuali con bambini castrati sono spesso descritti come particolarmente eccitanti, e come voluptates favorite dalla Roma imperiale; e i neonati venivano castrati « nella culla » per finire nei bordelli, a disposizione degli uomini a cui piaceva sodomizzarli. Allorché Domiziano approvò una legge che proibiva di castrare i bambini per rifornirne i bordelli, Marziale lo elogiò dicendo: « Prima ti amavano i ragazzi [...] ma ora anche i neonati ti amano, Cesare ».254 Paolo d'Egina offre il resoconto del metodo solitamente adottato per la castrazione dei bambini:

Dal momento che siamo talvolta obbligati a compiere l'operazione, contro la nostra volontà, da persone di rango elevato [...] la si porta a termine mediante compressione; i bambini, ancora in tenera età, vengono immersi in un recipiente colmo di acqua calda, e, quando le parti si sono rammollite, bisogna schiacciare i testicoli con le dita, sino alla loro scomparsa.

L'alternativa, aggiunge, consiste nel mettere i piccoli su di un bancone e tagliare via i testicoli. Molti medici antichi menzionano l'operazione, e Giovenale attesta che venivano spesso incaricati di eseguirla.255
A quei tempi, i simboli di castrazione circondavano il bambino. Nei prati e nei giardini c'era sempre un Priapo, con il grande pene eretto e una falce, che si supponeva simbolizzasse la castrazione. Pedagoghi e insegnanti erano sovente castrati, ovunque venivano sparsi prigionieri castrati, e castrati erano, non di rado, i servi della famiglia. San Girolamo racconta che certe persone gli avevano chiesto se fosse prudente permettere alle ragazzine di fare il bagno con gli eunuchi. Sebbene Costantino avesse approvato una legge contro i castratori, la pratica crebbe così rapidamente sotto i suoi successori che, poco tempo dopo, persino i patrizi mutilavano i figli per facilitarsi ulteriori avanzamenti politici. La castrazione era ritenuta pure una cura contro vari malanni, e Ambroise Paré si lamentava di quanti castratori senza scrupoli, avidi di testicoli infantili per i riti magici, convincessero i genitori ad accordare loro il permesso di mutilare i figli.256
La religione cristiana introdusse un nuovo concetto: l'innocenza infantile. Come insegna Clemente Alessandrino, quando Cristo ammonisce di « diventare come bambini » per entrare in paradiso, non si dovrebbe « stoltamente fraintenderne il senso delle parole. Non siamo piccoli nel senso che rotoliamo sul pavimento o strisciamo come fanno i serpenti ». Il significato che Cristo intende dare alle sue parole è quello di diventare «.incontaminati » come bambini, puri, e senza alcuna conoscenza sessuale.257 Lungo tutto il Medioevo i cristiani accentuarono l'idea che i bambini fossero completamente privi di ogni concetto di piacere o di dolore. Un bambino « non ha sperimentato i piaceri della carne, e non conosce gli impulsi della virilità [...] si diventa come bambini per quanto riguarda l'ira; e anche un lutto trasforma in bambini, così che talvolta si ride e si gioca proprio mentre muoiono il padre, la madre o il fratello ».258 Purtroppo la concezione del bambino come essere innocente e incorruttibile è la più comune difesa adottata da coloro che li molestano, per negare che le loro violenze gli rechino danno; di modo che l'idea medievale dell'innocenza infantile fa sì che le fonti a nostra disposizione rivelino meno, o non rivelino niente, di ciò che accadeva in realtà. L'abate Gilberto da Nogent dichiara che i bambini erano sacri, essendo privi di pensieri e capacità sessuali: ma ci si domanda a che si riferisse quando confessava le sue « depravazioni infantili ».259 Di solito, erano i servi a venire incolpati di aver abusato dei piccoli; anche una lavandaia poteva « condurre al vizio ». I domestici, spesso, « mostrano abitudini impudiche [...] in presenza dei bambini, corrompono la maggior parte dei neonati ». Le ragazze non dovrebbero fare le bambinaie. « poiché molte di loro hanno prematuramente destato il fuoco della passione, come è stato più volte raccontato, e come, oso dire, l'esperienza insegna ».260 Giovanni Dominici, che scrive nel 1405, cerca di porre limiti alla convenzionale « innocenza » infantile, sostenendo che non si doveva permettere ai bambini di più di tre anni, di vedere degli adulti nudi: giacché il piccolo, anche ammettendo « che non abbia nessun pensiero o gesto naturale prima dei cinque anni, senza precauzioni cresce in modo tale da abituarsi ad azioni di cui, dopo, non si vergognerà più ».
Dal linguaggio che usa Dominici, si può dedurre che fossero sovente gli stessi genitori a recare molestia al bambino:

Dorma vestito. almeno d'una camicia lunga più che a mezza gamba [...] né padre o madre e molto meno altre persone, né tocchi. S'io non fussi fastidiato di tanto prolisso scrivere, allegherei delle storie degli antichi, i quali appieno servano tal dottrina, per allevare i figliuoli buoni, non servi della carne.261

Il fatto che nel Rinascimento si siano prodotti dei cambiamenti nell'uso sessuale dei bambini, si può inferire non solo dal numero crescente di moralisti che lo condannano (Jean Gerson, come la bambinaia di Luigi XIII, osserva che è dovere del bambino prevenire le altrui molestie), ma anche dalla produzione artistica di questo periodo. Non solo i quadri rinascimentali sono gremiti di putti nudi, e di cupidi che si sbendano gli occhi di fronte a donne nude, ma sempre più spesso si rappresentavano bambini veri, nell'atto di solleticare il mento alla madre, o di mettere una gamba sopra quelle di lei, entrambi convenzionali segni iconografici dell'amore sensuale, e la madre era spesso rappresentata con le mani vicine all'area genitale del figlio.262
La campagna contro l'uso sessuale dei bambini continuò durante il secolo XVII, ma nei XVIII prese una direttiva del tutto nuova: punire i maschi e le femmine per essersi toccati i genitali. Che si trattasse, come nel caso del precoce addestramento alla pulizia, di un avanzato stadio psicogenetico, è suggerito dal fatto che proibizioni della masturbazione infantile non si trovano in nessuna delle società primitive studiate da Whiting e Child.263 L'atteggiamento nei confronti della masturbazione infantile, prima del secolo XVIII, è riassunto dal consiglio dato da Falloppio ai genitori, di « essere zelanti durante l'infanzia nell'ingrandire il pene del maschietto ».264 Sebbene la masturbazione in età adulta fosse considerata un peccato di minore entità, i libri penitenziali del Medioevo raramente estendevano la proibizione all'infanzia; l'omosessualità tra adulti, non la masturbazione, era la principale ossessione del costume sessuale di quei tempi. Ancora nel secolo XV, Gerson si lamenta che gli adulti gli vengano a dire di non aver mai sentito che la masturbazione sia immorale, ed incarica i confessori di chiedere, senza mezzi termini: «.Fratello, tocchi o sfreghi il tuo membro come hanno l'abitudine di fare i bambini? ».265
Ma fu solo all'inizio del secolo XVIII, all'apice degli sforzi compiuti per tenere sotto controllo la sessualità infantile, che i genitori diedero il via a una serie di severe punizioni per combattere la masturbazione dei figli, e i medici alla diffusione della leggenda sui casi di pazzia, epilessia, cecità e morte che tale pratica avrebbe causato. Nel secolo XIX la campagna raggiunse un livello di incredibile violenza. Medici e genitori apparivano al bambino armati di coltelli e forbici, minacciando di tagliargli i genitali; talora si usavano come punizione la circoncisione, la clitoridectomia, l'infibulazione, e si prescrivevano tutti i tipi di metodi restrittivi, comprese ingessature e gabbie munite di chiodi. La circoncisione si diffuse fino all'inverosimile; a parere di un esperto americano di psicologia infantile, quando un bambino di due anni si sfrega il naso e non sta fermo un attimo, solo la circoncisione fa effetto. Un altro medico, il cui libro era la bibbia di molte case americane ottocentesche, raccomandava di tener d'occhio i sintomi della masturbazione nei maschietti, e di procedere con la circoncisione (senza anestesia) come cura infallibile. I grafici di Spitz sui diversi rimedi adottati in questi casi, basati sull'esame di 559 volumi, mostrano, negli anni compresi fra il 1850 e il 1879, il vertice dell'intervento chirurgico, e nel periodo tra il 1880 e il 1904 quello dei metodi restrittivi. Dal 1925 tali metodi si estinsero quasi completamente, dopo due secoli di brutale e del tutto inutile violenza sugli organi genitali dei bambini.266
Nel frattempo, dopo il secolo XVIII, l'uso sessuale dei bambini appare molto più diffuso tra domestici ed estranei (adulti o adolescenti) che fra i genitori, benché, quando si apprende che molti genitori continuavano a permettere ai figli di dormire coi domestici dopo che altri domestici, in precedenza, avevano abusato di loro sessualmente, risulti ovvio che i presupposti perché ciò avvenisse rimanevano sotto il controllo dei genitori. Il cardinale di Bernis, ricordando di essere stato molestato da bambino, ammoniva i genitori che « niente e così dannoso per il morale e forse per la salute come il lasciare troppo a lungo i propri figli alle cure delle cameriere o anche di signorine allevate nel castello. Aggiungerò che le migliori di queste non sempre sono le meno pericolose: con un bimbo osano quello che si vergognerebbero di osare con un giovane uomo ».267 Un medico tedesco ricordava che bambinaie e domestici compivano « ogni sorta di atti sessuali » sul bambino « per divertimento ». Anche Freud riconobbe di essere stato sedotto dalla bambinaia all'età di due anni e Ferenczi e altri analisti dell'epoca considerano imprudente la decisione presa dal maestro nel 1897, di tenere per pura fantasticheria la maggior parte delle descrizioni di precoci seduzioni dei pazienti.
Come osserva lo psicanalista Robert Fleiss, « Nessuno si è mai ammalato con le proprie fantasie »; e un gran numero di persone, sotto analisi riferisce ancora oggi di usare sessualmente i bambini, sebbene solo Fleiss faccia rientrare il fatto in una teoria psicanalitica. Quando si viene a sapere che ancora nel 1900 c'erano persone che credevano che le malattie veneree potessero essere curate « per mezzo del rapporto sessuale con i bambini », si comincia ad avere un'idea più completa della dimensione del problema.
268
Va da sé che le ripercussioni, sui bambini, di violenze fisiche e sessuali come quelle descritte furono enormi. Vorrei, in questa sede, sottolineare solo due degli effetti che ritroviamo sul bambino durante la crescita: uno di tipo psichico e uno di tipo fisico. Il primo è il numero spropositato di incubi ed allucinazioni subìto dai piccoli quale risulta dalle fonti. Sebbene i documenti sulla vita emozionale del bambino, scritti da adulti, si capisce, siano estremamente rari, una volta portati alla luce essi rivelano incubi ricorrenti e vere e proprie allucinazioni. Sin dall'antichità, la letteratura che si occupava di pediatria, offriva consigli su come prendersi cura dei « terribili sogni » dei bambini; e a volte li si picchiava anche per essere stati vittime di incubi. I piccoli trascorrevano notti insonni terrorizzati da immaginari fantasmi, demoni, « una strega sul cuscino », un « grosso cane nero sotto il letto », « un dito a forma di uncino che si trascina per la stanza ».269 Per di più, la storia della stregoneria occidentale è piena di resoconti su bambini affetti da convulsioni, da perdita dell'udito e della parola, da perdita della memoria, da allucinazioni diaboliche; e su bambini che confessavano rapporti sessuali col diavolo, oppure accusavano gli adulti, compresi i genitori, di stregoneria. Infine, anche risalendo molto addietro, nel Medioevo, ci imbattiamo in bambini « tarantolati », in crociate o pellegrinaggi infantili: tutti argomenti troppo vasti per venire qui discussi.270
Desidero toccare solo un ultimo punto: la possibilità che in passato i bambini fossero effettivamente ritardati dal punto di vista fisico, a causa delle scarse cure ricevute. Sebbene le fasce, di per sé, non impedissero lo sviluppo corporeo, la combinazione di questa pratica con la trascuratezza e gli abusi che avvenivano comunemente a loro danno, sembra che producessero di frequente ciò che noi oggi chiamiamo un bambino «.ritardato.». Un indizio di tale ritardo è dato dal fatto che, mentre ai giorni nostri la maggior parte dei bambini inizia a camminare verso i dieci-dodici mesi, in passato solitamente ciò avveniva assai più tardi. Nella Tavola II espongo i dati disponibili sull'età d'inizio del camminare.


TAVOLA II. Età dei primi passi


Fonte 271

Età (in mesi)

Data appross.

Nazionalità


Macrobio

28

400 d.C.

romana

Federico d'Este

14

1501

italiana

Giacomo IV

60

1571

scozzese

Anna di Danimarca

108

1575

danese

Figlio di Anna Clifford

34

1617

inglese

John Hamilton

14

1793

americana

Augustus Hare

17

1834

inglese

Marianne Gaskell

22

1836

inglese

Figlio di H. Taine

16

1860

francese

Tricksy du Maurier

12

1865

inglese

Figlio di W. Preyer

15

1880

tedesca

Franklin Roosvelt

15

1884

americana

Figlia di G. Dearborn

15

1900

americana

Amer. Inst. Child Life

12-17

1913

americana

University of Minnesota

15

1931

americana






Periodizzazione delle modalità del rapporto genitori-figli

Poiché c'è ancora chi uccide, picchia e violenta sessualmente bambini, ogni tentativo di periodizzare la storia dell'educazione infantile deve tener conto preliminarmente del fatto che l'evoluzione psicogenetica procede con ritmo diverso nelle diverse linee familiari, e che molti genitori risultano « bloccati » al livello di modelli storici precedenti. Importanti differenze si registrano anche tra le varie aree e classi sociali, specialmente in età moderna, dal momento in cui le classi superiori non mandarono più i figli a balia, ma se li allevarono in casa. La periodizzazione seguente dovrebbe essere intesa come un'indicazione delle modalità con le quali il rapporto genitori-figli avveniva tra le persone psicogeneticamente più avanzate, e appartenenti alle nazioni più sviluppate; i dati sono i primi che ho riscontrato nelle fonti a mia disposizione. La serie dei sei modelli rappresenta una sequenza continua di ravvicinamenti tra genitori e figli, poiché, generazione dopo generazione, i genitori vincono le loro ansie ed iniziano a sviluppare la capacità di identificare e di soddisfare i bisogni del figlio. Credo anche che l'elenco fornisca una tassologia estremamente significativa dei modelli contemporanei di educazione infantile.

TAVOLA III. Evoluzione dei modelli di allevamento

500-1500 d.C Infanticidio - Abbandono - Ambivalenza - Intrusione - AiutoAiuto
Socializzazione
Intrusione
Ambivalenza
Abbandono
Infanticidio


d.C.     500                  1000                1500


1. L'infanticidio (dall'antichità al secolo IV d.C.): l'immagine di Medea incombe sull'infanzia durante l'antichità: qui il mito riflette la pura realtà. Certi fatti sono più importanti di altri, e l'abitudine, da parte dei genitori, di risolvere le proprie ansie sulle cure da dedicare al bambino uccidendolo, produceva un effetto decisivo su quelli che sopravvivevano. Per coloro cui veniva concesso di crescere, la reazione proiettiva era di capitale importanza, mentre quella di reversione si concretizzava nella diffusa sodomizzazione del bambino.

2. L'abbandono (dal IV al XIII secolo d.C.): una volta accettata, da parte dei genitori, l'idea che il bambino avesse un'anima, il solo modo a loro disposizione per sottrarsi ai pericoli delle proprie proiezioni era quello di abbandonarlo, o alla balia, o in monasteri di frati o suore, o in adozione a qualche famiglia, o come domestico o ostaggio presso altre famiglie nobili, oppure, pur mantenendolo in famiglia, di creare attorno a lui un clima di abbandono psicologico. Griselda potrebbe essere il simbolo di questo modello, lei che di buon grado abbandonò i figli per provare al marito il suo amore; oppure potrebbe esserlo uno di quei dipinti così popolari sino al XIII secolo, con Maria che stringe meccanicamente il piccolo Gesù. Le proiezioni continuavano ad essere imponenti, il bambino era ancora considerato ricettacolo di male e bisognava sempre picchiarlo; però, come si evince dalla diminuzione della sodomia, diminuiva considerevolmente la reazione di reversione.

3. L'ambivalenza (dal XIV al XVII secolo): poiché il bambino, anche quando gli veniva concesso di entrare nella vita emozionale dei genitori, restava pur sempre un contenitore di proiezioni pericolose, era loro compito il plasmarlo secondo una forma stabilita. Da Dominici a Locke non c'è topos più diffuso di quello di modellare il bambino, considerato come duttile cera, gesso e argilla, cui imprimere una determinata forma. Tale modello è contrassegnato da un'enorme ambivalenza. L'inizio di questo periodo si colloca approssimativamente attorno al XIV secolo, quando si verificano un incremento del numero dei manuali sull'educazione infantile, l'espansione del culto di Maria e del Bambino Gesù, e la proliferazione nell'arte del tipo iconografico della « madre vicina ».

4. L'intrusione (secolo XVIII): il vistoso mutamento nei rapporti genitori-figli che fece la sua comparsa durante il XVIII secolo, ebbe come risultato una forte riduzione delle proiezioni e la virtuale scomparsa della reversione. Il piccolo non era più così pieno di proiezioni pericolose, e piuttosto che limitarsi ad esaminarne il ventre con un enteroclisma, i genitori gli si avvicinavano sempre più e tentavano di conquistarne la mente, per riuscire a controllarne dall'interno la collera, i bisogni, la masturbazione, l'esatta volontà. Il bambino allevato da genitori del tipo intrusivo era allattato dalla madre, non fasciato; non gli venivano somministrati regolarmente enteroclismi, ma era precocemente avviato al controllo degli sfinteri, e si pregava con lui (ma non si giocava con lui); veniva picchiato, ma non frustato con regolarità, punito se si masturbava, reso obbediente con minacce e colpevolizzazione, così come con altri sistemi punitivi. Quanto più si rendeva possibile una vera empatia, tanto meno il bambino appariva una minaccia; era nata la pediatria, che, insieme al generale miglioramento delle cure da parte dei genitori, ridusse la mortalità infantile, e fornì la base per il mutamento demografico del secolo.

5. La socializzazione (dall'inizio del secolo XIX alla metà del secolo XX): con la progressiva diminuzione delle proiezioni, l'educazione infantile divenne sempre meno un processo di conquista della volontà del bambino, e sempre più un modo di avviarlo, guidarlo sulla via opportuna, di insegnargli ad adeguarsi all'ambiente e a socializzare. La socializzazione viene tuttora ritenuta dalla maggior parte delle persone il solo modello entro il quale può procedere il dibattito sulle cure infantili, ed è stata la fonte di tutti i modelli psicologici del secolo XX, dalla « canalizzazione degli impulsi » di Freud al comportamentismo di Skinner, è, in modo particolare, il modello del funzionalismo sociologico. Inoltre, è durante il nostro secolo che il padre inizia ad avere, per la prima volta, un interesse non solo occasionale per il figlio, allevandolo e, talvolta, alleviando il lavoro materno per prendersi cura di lui.

6. L'aiuto (dalla seconda metà del secolo XX): questo modello presuppone che il bambino conosca meglio dei genitori ciò di cui abbisogna in ogni momento della sua vita, e coinvolge completamente entrambi i genitori nella vita del figlio, tramite il loro sforzo di empatizzare con lui, e di rispondere alle sue richieste in continua espansione. Non esiste ormai nessun tentativo di disciplinarlo, o di formarlo secondo « un costume »; non viene né picchiato né rimproverato, e gli si chiede scusa se il genitore, « stressato », se la prende con lui. Il modello d'aiuto richiede un'enorme quantità di tempo e di energia, e implica discussioni tra i genitori, soprattutto durante i primi sei anni di vita: aiutare il figlio a raggiungere i suoi piccoli traguardi giornalieri, significa rispondergli in continuazione, giocare con lui, tollerarne le regressioni, essere a sua disposizione (anziché il contrario), interpretare i suoi conflitti emozionali, e procurare oggetti specifici ai suoi interessi in via di sviluppo. Sinora solo un ristretto gruppo di genitori ha realmente sperimentato questo metodo educativo. Dai quattro libri che descrivono bambini allevati in questo modo 272, risulta evidente che si sta producendo un bambino dolce, sincero, mai depresso, mai imitativo o orientato verso il gruppo, con un forte carattere, e mai intimidito dall'autorità.


La teoria psicogenetica: un nuovo paradigma per la storia

Io credo che la teoria psicogenetica possa fornire un paradigma veramente nuovo per lo studio della storia.273 Essa inverte il solito « mente come tabula rasa », e considera invece il « mondo come tabula rasa », collocando ogni generazione in un mondo di oggetti senza senso, che vengono investiti di significato solo se il bambino riceve un certo tipo di attenzioni.274 Non appena si modifica il modello per un numero adeguato di bambini, tutti i libri e manufatti esistenti vengono messi in discussione come irrilevanti per i propositi della nuova generazione, e la società comincia a spostarsi verso direzioni imprevedibili. Come il mutamento storico sia connesso col cambiamento nelle cure dei bambini, dobbiamo ancora capirlo. In questo libro ci siamo astenuti dal discutere la questione, ma in futuro non sarà così. La maggior parte di noi ha già iniziato a lavorare su articoli che estenderanno le conclusioni del lavoro sull'infanzia all'area più vasta della psicostoria, e abbiamo fondato una nuova rivista specializzata, History of Childhood Quarterly: The Journal of Psychohistory, dove pubblicare i nostri studi futuri.
Se il grado di vitalità di una teoria è dato dalla sua attitudine a generare problemi, la storia dell'infanzia e la teoria psicogenetica dovrebbero avere un futuro stimolante. C'è ancora molto da sapere su cosa significava realmente crescere, nel passato. Uno dei nostri primi compiti sarà scoprire perché l'evoluzione infantile procede a diversi livelli, in diversi paesi, nelle diverse classi sociali e linee familiari. Le nostre conoscenze bastano a permetterci, per la prima volta, di rispondere ad alcuni dei quesiti principali sulle modifiche comportamentali e sul loro significato nella storia dell'Occidente. La prima a trarre giovamento dalla teoria, sarà la storia della stregoneria, del magico, dei movimenti religiosi e degli altri fenomeni irrazionali di massa.
Oltre a ciò, la teoria psicogenetica potrebbe contribuire alla comprensione dei motivi per i quali l'organizzazione sociale, la forma politica e la tecnologia mutano in determinati periodi, ed in certe direzioni piuttosto che in altre.
Forse sommando il parametro dell'infanzia alla storia si può giungere, per lo storico, al termine del lungo volo di Durkheim dalla psicologia; e possiamo sentirci incoraggiati ad assumere quel compito di costruire una storia scientifica della natura umana, descritto tanto tempo fa da John Stuart Mill come la « teoria delle cause determinanti il tipo di carattere di un popolo o di un'età ».275


Note

Desidero esprimere i più sinceri ringraziamenti, per i commenti a questo saggio, a mia moglie Gladys, a John Benton, Edward Shorter, Henry Ebel, Rudolph Binion, William Dresden, e naturalmente a ognuno dei collaboratori a questo volume.

1 LASLETT P., Il mondo che abbiamo perduto, Jaca Book, Milano, 1979, pp. 128-129.

2 BOSSARD J., The sociology of child development, New York, 1948, p. 598; tr. it., Sociologia dello sviluppo infantile, Franco Angeli, Milano, 19733.

3 ROHEIM G., « The study of character development and the ontogenetic theory of culture », in EVANS-PRITCHARD E., a cura di, Essays presented to C.G. Seligman, Londra, 1934, p. 292; KARDINER A., L'individuo e la sua società, Bompiani, Milano, 1967; Freud elude il problema ipotizzando una « eredità di disposizioni psichiche »: FREUD S., Totem e tabù, in Opere, Boringhieri, Torino, 1968, vol. VII.

4 NEMY E., « Child abuse: does it stem from the nation's ills and its culture? », in New York Times, 16 agosto 1971, p. 16; alcune stime raggiungono addirittura i due milioni e mezzo di bambini di cui si abusa, vedi FONTANA V., Somewhere a child is crying, New York, 1973, p. 38.

5 Una valutazione di alcune tra le opere più recenti può essere trovata in SOMMERVILLE J., «.Towards a history of childhood and youth », in Journal of interdisciplinary history, 3 (1972); pp. 438-447; e SAVETH E., « The problem of american family history », in American quarterly, 21 (1969), pp. 311-329.

6 Vedi specialmente SMELSER N., Il mutamento sociale nella rivoluzione industriale, Etas Libri, Milano, 1978; WEINSTEIN F. e PLATT G., The wish to be free: society, psyche, and value change, Berkeley e Los Angeles, 1969; e PARSONS T. e BALES R., Famiglia e socializzazione, Mondadori, Milano, 1974.

7 Vedi COVENEY P., The image of childhood: the individual and society: a study of the theme in English Literature, Baltimora 1967; AVERY G., Nineteenth century children: heroes and heroines in English children's stories, 1780-1900, Londra, 1965; HARVEY DARTON F.J., Children's books in England: five centuries of social life, Cambridge, 1966; HAZARD P., Uomini, ragazzi e libri, Armando, Roma 19714.

8 Le migliori storie dell'infanzia comprendono: ABBOTT G., The child and the state, Chicago, 1938; ABT-GARRISON, History of pediatrics, Philadelphia, 1965; ARIÈS P., Padri e figli nell'Europa meridionale e moderna, Laterza, Bari, 19813; ARMENS S., Archetypes of the family in literature, Seattle, 1966; BAKAN D., Slaughter of the innocents, San Francisco, 1971; BARNARD H.C., The French tradition in education, Cambridge, 1922; BAYNE-POWELL R., The English child in the eighteenth century, Londra, 1939; BECK F., Greek education: 450-350 B.C., Londra, 1964; BEDFORD J. (pseud. Godfrey E.), English children in the olden time, Londra, 1907; BLUMNER H., The home life of the ancient Greeks, New York 1966; BOSSARD J., op. cit.; BREMNER R., a cura di, Children and youth in America: a documentary history, Cambridge, Massachusetts, 1970; BURTON E., The early Victorians at home 1837-1861, Londra, 1972; BYRNE C., Elizabethan life in town and country, Londra, 1961; CAULFIELD E., The infant welfare movement in the eighteenth century, New York, 1931; CHRISMAN O., The historical child, Boston, 1920; CUNNINGTON P. e BOCK A., Children's costume in England: from the fourteenth to the end of nineteenth century, New York, 1965; DEMOS J., A little Commonwealth: family life in Plymouth colony, New York, 1970; DESPERT J.L., The emotionally disturbed child: then and now, New York, 1967; DUBY G., La société aux XIe et XIIe siècles dans la région maconnaise, Parigi, 1953; MORSE EARLE A., Child life in colonial days, New York, 1899; GATHORNE-HARDY J., The rise and fall of the british nanny, Londra, 1972; GOODSELL W, A history of marriage and the family, New York, 1934; GORMAN M.R., The nurse in Greek life: a dissertation, Boston, 1917; HARE E.H., « Masturbatory insanity: the history of an idea », in Journal of mental science, 108 (1962), pp. 2-25; HOFFMAN E., Children in the past, Londra, n.d.; HOLE C., English home-life, 1450 to 1800, Londra, 1947; HUNT D., Parents and children in history, New York, 1970; KUHN A.L., The mother’s role in childhood education: New England concepts 1830-1860, New Haven, 1947; LACEY W.K., The family in classical Greece, Ithaca, New York, 1968; LOCHEAD M., Their first ten years: victorian childhood, Londra, 1956; MACFARLANE A., The family life of Ralph Josselin: a seventeenth century clergiman, Cambridge, 1970; MARPLES M., Princes in the making: a study of royal education, Londra, 1965; MARROU H.I., Storia dell’educazione nell’antichità, Studium, Roma, 19782; MERCER R.W., L’enfant dans la société du XVIIIe siècle, Dakar, 1951; MORGAN E.S., The puritan family: religion & domestic relations in seventeenth-century New England, New York, 1966; PAYNE G.H., The child in human progress, New York, 1916; PEARSON L.E., Elizabethans at home, Stanford, California, 1957; PEIPER A., Chronik der Kinderheilkunde, Lipsia, 1966; PECTERS H., Kind en juegdige in het begin van de modern tijd, Anversa, 1966; PINCHBECK I. e HEWITT M., From Tudor times to the eighteenth century, in Children in English society, Londra, 1969, vol. I; LATHAM POWELL C., English domestic relations, 1487-1653, New York, 1917; ROE GORDON F., The Georgian child, Londra, 1961; ROE GORDON F., The Victorian child, Londra, 1959; RUHRAH J., a cura di, Pediatrics of the past: an anthology, New York, 1925; RYERSON A., « Medical advice on child rearing », Ed. D. thesis, Harvard University Graduate School of Education, 1960; SANFSTER P., Pity my simplicity: the evangelical revival and the religious education of children 1738-1800, Londra, 1963; SCHUKING L., The Puritan family, Londra, 1969; SPITZ R.A., « Authority and masturbation: some remarks on a bibliographical investigations », in The psychoanalytic quarterly, 21 (1952), pp. 490-527; STILL G.F., The history of pediatrics, Londra, 1931; SUDHOFF K., Erstlinge der pädiatrischen Literatur: Drei Wiegendrucke über Heilung und Pflege des Kindes, Monaco, 1925; TAYLOR G.R., The angel-makers: a study in the psychological origins of historical change 1750-1850, Londra, 1958; WISHY B., The child and the republic: the down of modem american child nurture, Philadelphia, 1968.

9 SELTMAN C. Women in antiquity, Londra, 1956, p. 72.

10 MILLER D. e SWANSON G., The changing american parent: a study in the Detroit area, New York, 1958, p. 10.

11 BAYNE-POWELL, English child, cit., p. 6.

12 LASLETT P., Il mondo che abbiamo perduto, cit., p. 27; E.S. Morgan è d’accordo nel sostenere che i genitori puritani allontanavano i figli in tenera età solo perché « timorosi di rovinarli con un affetto troppo grande », Puritan family, cit., p. 77.

13 SLOANE W., Children’s books in England and America in the seventeenth century, New York, 1955, p. 19.

14 ARIÈS P., op. cit., p. 117.

15 Ibid., p. 118.

16 VALENTINE A., Fathers to Sons: advice without consent, Norman, Oklahoma, 1963, p. XXX.

17 ROBESON BURR A., The autobiography: a critical and comparative study, Boston, 1909; vedi anche PLANK E., « Memories of early childhood in autobiographies », in The psychoanalytic study of the child, New York, 1953, vol. VIII.

18 MANUEL F., « The use and the abuse of psychology in history », in Daedalus, 100 (1971), p. 203.

19 ARIÈS P., op. cit., pp. 33, 7.

20 Una enorme bibliografia e molti esempi di bambini nella pittura dell’Alto Medioevo si trovano in LASAREFF V., « Studies in the iconography of the Virgin », in Art Bulletin, 20 (1938), pp. 26-65.

21 DAVIS N., « The reason of misrule », in Past and Present, 50 (1971), pp. 61-62; BOLL F., Die Lebensalter: Ein Beitrag zue antiken Ethologie und zur Geschichte der Zahlen, Lipsia e Berlino, 1913, presenta la migliore bibliografia sulle « Età dell'uomo »; per tutte le variazioni nell’inglese antico della parola « child » vedi BACK H., The synonyms for « child », « boy », « girl », in Old English, Londra, 1934.

22 SENNETT R., Families against the city, Cambridge, Massachusetts, 1970; KETT J., « Adolescence and youth in nineteenth century America », in The journal of interdisciplinary history, 2 (1971), pp. 283-299; DEMOS J. e V., « Adolescence in historical perspective », in Journal of marriage and family, 31 (1969), pp. 632-633.

23 DESPERT, op. cit., p. 40.

24 MELTZER D., Il processo psicoanalitico, Armando, Roma, 1971; ROSENFELD H.A., Stati psicotici, Armando, Roma, 1973.

Il significato di questo termine, che nella tradizione italiana è reso con « seno-gabinetto », è illustrato dallo stesso Meltzer nei seguenti passi (p. 55 e segg.): « [...] con questo nome intendo indicare sia la natura di oggetto parziale, sia il fatto che l’oggetto è valutato ed è necessario, ma non è amato [...]. La scissione dell’oggetto può perdurare a lungo, di modo che l’analista è soltanto un gabinetto, mentre tutte le cose buone a introiettarsi vengono dalla madre, dall’insegnante, dai fratelli e amici ». È a questo concetto che deMause si riferisce più avanti, quando introduce il termine « toilet-child », che ugualmente verrà lasciato in inglese nel testo. (N.d.T.)

25 STEELE B., « Parental abuse of infants and small children », in ANTHONY J. e BENEDEK T., a cura di, Parenthood: its psychology and psychopatology, Boston, 1970; GIL. D.G., Violence against children: physical child abuse in the United States, Cambridge, Massachusetts, 1970; STEELE B. e POLLOCK C., « A psychiatric study of parents who abuse infants and small children », in HELFER R. e KEMPE H., a cura di, The battered child, Chicago, 1968; pp. 103-145; GALDSTON R., «.Dysfunctions of parenting: the battered child, the neglected child, the exploited child », in HOWELLS J., a cura di, Modern perspectives in international child psychiatry, New York, 1971, pp. 571-584.

26 REIK T., Listening with the third ear, New York, 1950; vedi anche OLINICK S. , « On empathy and regression in service of the Other », in British journal of medical psychology, 42 (1969), pp. 40-47.

27 RESTIF DE LA BRETONNE N., Monsieur Nicolas: ou le Cœur humain devoilé, Parigi, 1926, cap. I.

28 BATESON G., Verso un’ecologia della mente, Adelphi, Milano, 19802.

29 CUNNINGHAM B., « Beaten kids, sick parents », in New York Post, 23 febbraio 1972, p. 14.

30 ARNOLD S., An astonishing affair!, Concord, 1830, pp. 73-81.

31 POWELL, Domestic relations, cit., p. 110.

32 MATHER C., The diary of Cotton Mather, New York, n.d., vol. I, p. 283.

33 Ibid., p. 369.

34 HOLLIDAY C., Woman’s life in colonial Boston, Boston, 1922, p. 25.

35 ALLESTREE R., The whole duty of man, Londra, 1766, p. 20.

36 THOMAS K., Religion and the decline of magic, New York, 1971, p. 479; SAUNDERS B., The age of candlelight: the english social scene in the l7th century, Londra, 1959, p. 88; OESTERREICH K., Possession, demoniacal and other among primitive races, in antiquity, the Middle Ages, and modem times, New York, 1930; GRUNEWALD, nel suo « San Ciriaco », mostra una ragazza che sta per essere esorcizzata, con la bocca tenuta aperta a forza per lasciare uscire il demonio.

37 LEVIN S., Childhood in exile, New York, 1929, pp. 58-59.

38 HAFFTER C., « The changeling: history and psychodynamics of attitudes to handicapped children in european folklore », in Journal of the history of the behavioral sciences, 4 (1968), pp. 55-61, contiene la migliore bibliografia; vedi anche BAYNE-POWELL, English child, cit., p. 247; e PEARSON, Elizabethans, cit., p. 217.

39 SANT’AGOSTINO, Contra Iulianum.

40 LECKY W., History of the rise and influence of the spirit of rationalism in Europe, New York, 1867, p. 362.

41 In HAFFTER, Changeling, cit., p. 58.

42 GILBERTO DA NOGENT (abate), De vita sua sive monodiarum libri III.

43 COULTON G.G., Social life in Britain: from the conquest to the reformation, Cambridge, 1918, p. 46.

44 BENEDICT R., « Child rearing in certain european countries », in American journal of orthopsychiatry, 19 (1949), pp. 345-346.

45 DIONE CRISOSTOMO, Orationes.

46 MAFFEO VEGIO, De liberorum educatione et claris moribus libri sex.

47 HOLLIDAY C., Woman’s life, cit., p. 18.

48 BROPHY B., Black ship to hell, New York, 1962, p. 361.

49 SORIANO M., « From tales of warning to formulettes: the oral tradition in French children’s literature », in Yale french studies, vol. 43 (1969), p. 31; FRENCH M., Thoughts on education by a parent, Southampton, non pubblicato, 181-?, p. 42; ROE, op. cit., p. 11; ABBOTT J., Gentle measures in the management and training of the youth, New York, 1871, p. 18; MOTT J., Observations on the education of children, New York, 1816, p. 5; PREYER W., The mind of the child, New York, 1896, p. 164; BYRD W., Another secret diary, Richmond, 1942, p. 449; DE PIERRE DE BERNIS F.J., Memoirs and letters, Boston, 1901, p. 90.

50 FRENCH, Thoughts, cit., p. 43. Cfr. anche HITCHCOCK E., Memoirs of the Bloomsgrove family, Boston, 1970, voI. I, p. 109; ORIGO I., Leopardi, Rizzoli, Milano, 1974; TAINE H.A., The Ancient Regime, Gloucester, Massachusetts, 1962, p. 130; HORKAN V., Educational theories and principles of Maffeo Vegio, Washington, 1953, p. 152; WEETON E., Miss Weeton: journal of a governess, Londra, 1936, p. 58.

51 WYLIE L., Village in the Vaucluse, New York, 1957, p. 52.

52 Dialogues on the passions, habits and affections peculiar to children, Londra, 1748, p. 31; MOST G.F., Der Mensch in der ersten sieben Lebensjahren, Lipsia, 1839, p. 116.

53 HETT P.F., a cura di, The memoirs of Susan Sibbald, 1783-1812, p. 176.

54 WHITE R., From infancy to womanhood: a book of instruction for young mothers, Londra, 1882, p. 31.

55 STRABONE, Strabonis geographica, vol. I; EPITTETO, The Discourses as reported by Arrian, tr. W.A. Oldfather, Cambridge, Massachusetts, 1967, p. 217.

56 DIONE CRISOSTOMO, Orationes.

57 JOHNSON A.C., Peasant life in Germany, New York, 1858, p. 353. Ho raccolto numerose testimonianze del fatto che questa pratica ha avuto un seguito anche nel secolo XX.

58 RICHTER J.P.F., Levana e altri scritti, Utet, Torino, 1972, pp. 351, 352.

59 SHERWOOD M., The history of the Fairchild Family, Londra n.d.

60 TAYLOR, Angel makers cit. p. 312; MOST, Mensch, cit. p. 118; KEMBLE F.A., Records of a girlhood, New York, 1879, p. 27; HORKAN, Educational theories, cit., p. 117; DUNN C., The natural history of the child, New York, 1920, p. 300; MASTONE GRAHAM E., Children of France, New York, n.d.; HETT, Memoirs, cit., p. 10; BLOCH I., Sexual life in England, Londra, 1958, p. 361; BESSBOROUGH H., Lady Bessborough and her family circle, Londra, 1940, pp. 22-24; SANGSTER, Pity, cit, pp. 33-34.

61 MAFFEO VEGIO, De liberorum, cit.

62 Memoir of Elizabeth Jones, New York, 1841, p. 13.

63 PEEL C.S., The stream of time: social and domestic life in England 1805-1861, Londra, 1931, p. 40.

64 BESSBOROUGH, Lady Bessborough, cit., pp. 23-24.

65 WHITING J. e CHILD I., Child training and personality: a cross cultural study, New Haven, 1953, p. 343.

66 BRYCE BOYER L., « Psychological problems of a group of Apaches: alcoholic hallucinosis and latent homosexuality among typical men », in The psychoanalytic study of society, vol. 3 (1964), p. 225.

67 BRIGGS A., How they lived, New York, 1969, vol. 3, p. 27.

68 MARZIALE, Epigrammi, Einaudi, Torino, 1973, Libro V, n. 34, p. 321.

69 DI PAGOLO MORELLI G., Ricordi, Le Monnier, Firenze, 19692, pp. 500-502.

70 EURIPIDE, Medea, versi 1029-1036; anche Giasone compatisce solo se stesso, vedi versi 1325-1327.

71 ARIÈS P., op. cit., p. 61; STRUVE C.A., A familiar treatise on the physical education of children, Londra, 1801, p. 299.

72 VAUGHAN A., The genesis of human offspring: a study in early greek culture, Menasha, Wisconsin, 1945, p. 107; HASTINGS J., a cura di, A dictionary of Christ and the Gospels, New York, 1911, p. 533.

73 KETT, op. cit., pp. 35, 230.

74 SOULIÉ E. e DE BARTHÉLEMY E., a cura di, Journal de Jean Héroard sur l’enfance et la jeunesse de Louis XIII, Parigi, 1868, vol. I, p. 35.

75 Ibid., p. 76.

76 DA BARBERINO F., Reggimento e costumi di donna, Loescher, Torino, 1957, p. 189.

77 HAMILTON A., The family female physician: or, a treatise on the management of female complaints, and of children in early infancy, Worcester, 1793, p. 287.

78 STRUVE, Treatise, cit., p. 273.

79 PEIPER A., Chronik, cit., p. 120; DU MAURIER D., a cura di, The young George du Maurier: a selection of his letters 1860-1867, Londra, 1951, p. 223.

80 PLINIO IL VECCHIO, Historia naturalis.

81 CHARRON P., Of wisdom, Londra, 1729, p. 1384.

82 ST. EVREMOND, The works of Monsieur de St. Evremond, Londra, 1714, vol. 3, p. 6.

83 WARDE FOWLER W., Social life in Rome in the age of Cicero, New York, 1926, p. 177; RICKERT E., a cura di, The babee's look: a medieval manners for the young, Londra, 1908, p. XVIII; FIELD E.M., The child and his book, Londra, 1892, ristampato Detroit, 1968, p. 91; FURNIVALL F., a cura di, Early english meals and manners, 1868, ristampato Detroit 1969, p. 229; PEARSON, Elizabethans, cit., p. 172.

84 DAVOREN E., « The role of social worker », in HELFER R. e KEMPE C.H., a cura di, The battered child, Chicago, 1968, p. 155.

85 INGERSOLL. R.A., Memoir of Elizabeth Charlotte Ingersoll who died September, 18, 1857 aged 12 years, Rochester, New York, 1858, p. 6.

86 GUILLIMEAU J., The nursing of children, Londra, 1612, p. 3.

87 M.ME DE SÉVIGNÉ, Lettres, 20 maggio 1672.

88 MOST, Mensch, cit., p. 74.

89 CHARRON, Wisdom, cit., p. 1338; CLEAVER R., A godlie forme of household government..., Londra, 1598, p. 296.

90 SOULIÉ E., Héroard, cit., pp. 2-5.

91 Ibid., pp. 7-9.

92 Ibid., p. 11.

93 Ibid., pp. 14-15.

94 Ibid., pp. 32, 34.

95 Ibid., p. 36.

96 Ibid., pp. 34, 35.

97 lbid., pp. 42-43.

98 Ibid., p. 45; l’uso sessuale del Delfino non poteva verificarsi al solo scopo di assimilare il suo carisma reale, visto che vi partecipavano anche il re e la regina.

99 BRYK F., Circumcision in man and woman: its history, psychology and ethnology, New York, 1934, p. 94.

100 Ibid., p. 100.

101 Ibid., pp. 57, 115.

102 Anche al giorno d’oggi coloro che si tagliano sentono il sangue come latte; vedi KAFKA J.S., «.The body as transitional object: a psychoanalytic study of a self-mutilating patient », in British journal of medical psychology, 42 (1969), p. 209.

103 DINGWALL E.J., Male infibulation, Londra, 1925, p. 60; e VANGAARD T., Phallos: a symbol and its history in the male world, New York, 1969, p. 89.

104 DINGWALL, Infibulation, cit., p. 61; CELSO, De medicina; CABANES A., The erotikon, New York, 1966, p. 171; BRYK, Circumcision, cit., pp. 225-277; SORANO, Gynaecia; UCKO P., « Penis sheaths: a comparative study », in Proceedings of the Royal anthropological institute of Great Britain, and Ireland for 1969, Londra, 1970, p. 43.

105 Ibid., pp. 27, 56-58; DE BUFFON C., A natural history, Londra, 1781, p. 217.

106 PAOLO D’EGINA, De re medica libri septem; CELSO, De medicina.

107 BRENDEL O., « The scope and temperament of erotic art in the greco-roman world », in BOWIE T., e CHRISTENSON C., a cura di, Studies in erotic art, New York, 1970, tavole 1, 17, 18, 20.

108 RHEINGOLD J.C., The fear of being a woman: a theory of maternal destructiveness, New York 1964; RHEINGOLD J.C., The mother, anxiety, and death: The catastrophic death complex, Boston, 1967.

109 BLOCK D., « Feelings that kill: the effect of the wish for infanticide in neurotic depression », in The psychoanalytic review, 52 (1965); BAKAN, Slaughter, cit.; ASCH S.S., « Depression: three clinical variations », in Psychoanalytic study of the child, vol. 21 (1966), pp. 150-171; BROZOVSKY M. e FALIT H., « Neonaticide: clinical and psychodynamic considerations », in Journal of child psychiatry, 10 (1971); LEDERER W., Ginofobia: la paura delle donne, Feltrinelli, Milano, 1973; GALDSTON, op. cit., e la bibliografia di Rheingold.

110 Per le bibliografie, vedi ABT-GARRISON, History of pediatrics, cit.; BAKAN, Slaughter, cit.; BARCLAY W., Educational ideas in the ancient world, Londra, 1959, appendice A; BENNETT H., «.Exposure of infants in ancient Rome », in Classical journal, 18 (1923), pp. 341-345; CAMERON A., « The exposure of children and greek ethics », in Classical review, 46 (1932), pp. 105-114; CHARPENTIER J., Le droit de l’enfance abandonée, Parigi, 1967; HARRISON A.R.W., The law of Athens: the family and property, Oxford, 1968; LANGER W.L., « Checks on population growth: 1750-1850 », in Scientific american (1972), pp. 93-99; LEBRUN F., « Naissances illégitimes et abandons d’enfants en Anjou au XVIIIe siècle », in Annales: economies, societés, civilisations, 27 (1972); LEVIN A.J., « Oedipus and Sampson, the rejected herochild », in International journal of psychoanalysis, 38 (1957), pp. 103-110; NOONAN J.T. Jr., Contraception: a history of his treatment by the Catholic theologians and canonists, Cambridge, Massachusetts, 1965; PAYNE, Child, cit.; PENTIKAINEN J., The nordic dead-child tradition, Helsinki, 1968; RADEN M., « Exposure of infants in Roman law practice », in Classical journal, 20 (1925), pp. 342-343; SHORTER E., « Illegitimacy, sexual revolution, and social change in modem Europe », in The journal of interdisciplinary history, 2 (1971), pp. 237-272; SHORTER E., « Infanticide in the past », in History of childhood quarterly: the journal of psychohistory, 1 (1973), pp. 178-180; SHORTER E., « Sexual change and illegitimacy: the european experience », in BEZUCHA R., a cura di, Modern european social history, Lexington, Massachusetts, 1972, pp. 231-269; THRUPP J., The Anglo-Saxon home: a history of the domestic institutions and customs of England. From the fifth to eleventh century, Londra, 1862; TREXLER R., « Infanticide in Florence », in History of childhood quarterly: the journal of psychohistory, 1 (1973), pp. 98-117; LA RUE VAN HOOK, « The exposure of infants at Athens », in American philogical association transactions and proceedings, 51 (1920), pp. 36-44; WERNER O.H., The unmarried mother in german literature, New York, 1966; GLOTZ G., L’exposition des enfants, études sociales et juridiques sur l’antiquité grecque, Parigi, 1906; BRISSAUD Y.B., « L’infanticide à la fin du Moyen Age, ses motivations psychologiques et sa répression », in Revue historique de droit français et étranger, 50 (1972), pp. 229-256; DE GOUROFF M. (DUGUER A.J.), Essai sur l’histoire des enfants trouvés, Parigi, 1885; LANGER W.L., « infanticide: a historical survey », in History of childhood quarterly: the journal of psychohistory, 1 (1973), pp. 353-367.

111 SORANO, Gynaecia.

112 LACEY, Family, cit., p. 164.

113 GARRETT WINTER J., Life and letters in the Papyri, Michigan, 1933, p. 56; LEWIS N. e REINHOLD M., Roman civilization: source book 2, New York, 1955, p. 403; Gunnlaugs saga ormstungu, in SCARGILL M.H., a cura di, Three icelandic sagas, Princeton, 1950, pp. 11-12.

114 LINDSAY J., The ancient world, Londra, 1968, p. 168.

115 POLIBIO, Le storie.

116 LUTZ C.E., « Musonius Rufus “The roman Socrate” », in BELLINGER A.R., a cura di, Yale classical studies, New Haven, 1947, vol. 10, p. 101; sebbene il suo allievo, Epitteto, sembri più contrario all’infanticidio, vedi EPITTETO, Discourses, cit. Vedi anche la legale approvazione dell’infanticidio nel Codice di Gortina, IV: 21, 23, e DARESTE R., a cura di, Recueil des inscriptions juridiques grecques, Parigi, 1894, p. 365.

117 BATTY B., The christian mans closet, 1581, p. 28.

118 SENECA, Epistulae morales.

119 MENANDRO, Samia, Arbitratus; SLATER P.E., The glory of Hera: greek mythology and the greek family, Boston, 1968.

120 VALLOIS H.V., « The social life of early man: the evidence of Skeletons », in WASHBURN S.L., a cura di, Social life of early men, Chicago, 1961, p. 225.

121 PLUTARCO, Moralia.

122 WELLISCH E., Isaac and Oedipus, Londra, 1954, pp. 11-14; PAYNE, Child, cit., pp. 8, 160; SEIDENBERG R., « Sacrificing the first you see », in The psychoanalytic review, 53 (1966), pp. 52-60; BECK S., « Abraham’s ordeal: creation of a new reality », in The psychoanalytic review, 50 (1963), pp. 175-185; THASS-THIENEMANN T., The subconscious language, New York, 1967, pp. 302-306 (tr. it. La formazione subconscia del linguaggio, Astrolabio, Roma); PLATTER T., Journal of a younger brother, Londra, 1963, p. 85; TERTULLIANO, Apologeticum; JOYCE P.W., A social history of ancient Ireland, Londra, 19203, vol. I, p. 285; BURKE RYAN W., Infanticide: its law, prevalence, prevention, and history, Londra, 1862, p. 200-220; PAMPHILI E., Ecclesiastical history, New York, 1955, p. 103; ROBERTSON J.M., Pagan Christs, New York, 1967; p. 31; PICARD C., Daily life in Carthage, New York, 1961, p. 671; SCHLOSSMAN H.H., « God the father and his Sons », in American imago, 29 (1972), pp. 35-50.

123 ELLWOOD CRAIG W., « Vincent of Beauvais, on the education of noble children », University of California at Los Angeles, Ph. D. tesi, 1949, p. 21; PAYNE, Child, cit., p. 50; STANLEY RIGGS A., The romance of human progress, New York, 1938, p. 284; JAMES E.O., Prehistoric religion, New York, 1957, p. 59; WEYL N., « Some possible genetic implications of Carthaginian child sacrifice.», in Perspective in biology and medicine, 12 (1968), pp. 69-78; HASTINGS J., a cura di, Encyclopedia of religion and ethics, New York, 1951, vol. 3, p. 187; PICARD C., Carthage, cit., p. 100.

124 DARLINGTON H.S., « Ceremonial behaviorism: sacrifices for the foundation of houses », in The psychoanalytic review, 18 (1931); BETT H., The games of children: their origin and history, Londra, 1929, pp. 104-105; JOYCE, Social history, cit., p. 285; PAYNE, Child, cit., p. 154; ANON, «.Foundations laid in human sacrifice », in The open court, 23 (1909), pp. 494-501.

125 BETT H., Nursery rhymes and tales: their origin and history, New York, 1924, p. 35.

126 DIONE CASSIO, Dio's Roman history, Londra, 1937, vol. 9, p. 157; SVETONIO, De vita Caesarum; PLINIO IL VECCHIO, Historia naturalis.

127 SVETONIO, De vita Caesarum; LIVIO, Opere, tradotte da Sage Evan T., Cambridge, Massachusetts, 1938, vol. 12, p. 9; TACITO, Annales.

128 FILONE Opere, tradotte da Colson F.H., Cambridge, Massachusetts, 1929, voi. 7, p. 549; vedi anche Favorino in FOOTE J., « An infant hygiene campaign of the second century », in Archives of pediatrics, 37 (1920), p. 181.

129 LEWIS e REINHOLD, Roman civilization, cit., pp. 344, 483.

130 NOONAN, Contraception, cit., p. 86.

131 SAN GIUSTINO MARTIRE, Writings, New York, 1949, p. 63; DIONE CRISOSTOMO, op. cit.; TERTULLIANO, Apologeticum; LATTANZIO, Divinae institutiones, libri 1-8.

132 TERTULLIANO, Apologeticum.

133 HEFELE-LECLERCQ, Histoire des conciles, Parigi, 1908, pp. 459-460; secondo Leclercq, San Magnebode può aver costruito precedentemente un ospizio per trovatelli.

134 Dictionnaire d’archéologie chrétienne et de liturgie, Parigi, 1907-1951, tomo I, articolo «.Alunni.» di H. Leclercq, pp. 1288-1306; THRUPP, Anglo-Saxon home, cit., p. 81.

135 COLEMAN E.R., « Medieval marriage characteristic: a neglected factor in the history of medieval serfdom », in The journal of interdisciplinary history, 2 (1971), pp. 205-220; RUSSELL J.C., British medieval population, Albuquerque, Nuovo Messico, 1948, p. 168.

136 TREXLER, « Infanticide », cit., p. 99; BRISSAUD, « L’infanticide », cit., p. 232.

137 Ibid., p. 100; EMMISON F.G., Elizabethan life and disorder, Chelmsford, 1970, pp. 7-8, 155-157; PENTIKAINEN, Dead-Child, cit.; WERNER, Mother, pp. 26-29; RYAN, Infanticide, cit., pp. 1-6; KELLUM B., « Infanticide in England in the later Middie Ages », in History of childhood quarterly: the journal of psychohistory, 1 (1974), pp. 367-388; BRISSAUD, « L’infanticide », cit., pp. 243-256.

138 CRAIG, « Vincent of Beauvais », cit., p. 368; PHAYER T., The regiment of life, including the boke of children, 1545; THRUPP, Anglo-Saxon home, cit., p. 85; DOUGLASS W., A summary, historical and political, of the first planting, progressive improvements, and present state of the british settlements in North America, Londra, 1760, vol. 2, p. 202.

139 BROWNLOW J., Memoranda: or chronicles of the foundling hospital, Londra, 1847, p. 217.

140 SHORTER E., « Sexual change and illegitimacy: the european experience »; BAKAN, Slaughter, cit.; SHORTER E., « Illegitimacy, sexual revolution, and social change in modern Europe »; CHARPENTIER, Droit, cit.; PARR R., The baby farmer, Londra, 1909; LEBRUN, Naissances, cit.; WERNER, Mother, cit., BROWNLOW, Memoranda, cit.; RYAN, Infanticide, cit.; LANGER, « Checks », cit. e una enorme bibliografia deve sostenere questo suo saggio, ma è sotto forma di ciclostilato, sebbene sia riprodotta in parte nel saggio: « Infanticide: a historical survey », in History of childhood quarterly: the journal of psychohistory, 1 (1974), pp. 353-365.

141 ROLPH C.H., « A backward glance at the age of “obscenity” », in Encounter, 32 (giugno 1969), p. 23.

142 ADAMIC L., Cradle of life: the story of one man’s beginnings, New York, 1936, pp. 11, 45, 48.

143 YERKES R.K., Sacrifice in greek and roman religions and early judaism, New York, 1952, p. 34; JONES E., Essays in applied psychoanalysis, New York, 1964, vol. 2, pp. 22-109; GORMAN, Nurse, cit., p. 17.

144 CAMPBELL J.K., Honour, family and patronage, Oxford, 1964, p. 154.

145 MCDANIEL W.B., Conception birth and infancy in ancient Rome and modern Italy, Coconut Grove, Florida, 1948, p. 32; STUART HAY J., The amazing emperor Heliogabalus, Londra, 1911, p. 230; PEIPER A., Chronik, cit., p. 95; Juvenal and Persius, Cambridge, Massachusetts, 1965, pp. 249, 337; DA BARBERINO F., Reggimento e costumi, cit., p. 188; PATAI R., The Hebrew goddess, 1967, p. 210; MAC FARLANE A., Witchcraft in Tudor and Stuart England, New York, 1970, p. 163; HOLE, English Home-Life, cit., p. 41; i bambini sin dall’antichità sono stati associati con l’iconografia della morte.

146 EPITTETO, Discourses, cit., vol. II, p. 213.

147 ORIGO I., Il mercante di Prato, Rizzoli, Milano, 1979.

148 PLASS E.M., What Luther says: an anthology, St. Louis, 1959, p. 145.

149 BARNARD H.C., a cura di, Fenelon on education, Cambridge, 1966, p. 63.

150 WAGENKNECHT E., When I was a child, New York, 1946, p. 5.

151 ORIGO I., Leopardi, cit., p. 41.

152 DEANESLY M., A history of early medieval Europe, Londra, 1956, p. 23; PEMELL R., De morbis puerorum, or, A treatise of the diseases of children..., Londra, 1653, p. 8, pratica che ricorda quella giapponese di bruciare la pelle dei bambini (moxa) ancorà in uso a fini sanitari e disciplinari; vedi NORBECK E. e M., « Child training in a japanese fishing comunity », in HARING D.C., a cura di, Personal charachter and cultural milieu, Syracuse, 1956, pp. 651-673.

153 HUNT, Parents and child, cit., p. 114; CLEAVER R., A godlie form of household government..., New York, 1598, p. 283; HAMILTON, Female physician, cit., p. 280.

154 Vedi la bibliografia in ABT-GARRISON, History of Pediatrics, cit., p. 69.

155 SENECA, Controversiae.

156 GRAHAM, Children, cit., p. 110.

157 LYMAN ROELKER N., Queen of Navarre: Jeanne d'Albret, Cambridge, Massachusetts, 1969, p. 101.

158 RUHRAH, Pediatrics, cit., p. 216; BAYNE-POWELL, English-child, cit., p. 165; BUCHAN W., Advice to mothers, Philadelphia, 1804, p. 186; The mother’s magazine, 1 (1833), p. 41; HIBBEN P., Henry Ward Beecher: an american portrait, New York, 1927, p. 28.

159 NELSON J., An essay on the government of children, Dublino, 1763, p. 100; STILL, History of pediatrics, cit., p. 391.

160 PREYER W., Mental development in the child, New York, 1907, p. 41; PHAIRE T., The boke of children, Edimburgo, 1965, p. 28; PEMELL, De morbis, cit., p. 23; MOST, Mensch, cit., p. 76; RAUSCHER H., « Volkskunde des Waldviertels », in Das Wardviertel, 3 Band, (Volkskunde), Verlag Zeitschrift « Deutsches Vaterland », Vienna, n.d., pp. 1-116.

161 BUCHAN, Advice, cit., p. 192; HAMILTON, Female physician, cit., p. 271.

162 DE ST. MARTHE S., Paedotrophia: or the art of nursing and rearing children, tradotto da H.W. Tytler, Londra, 1797, p. 63; FLOYER J., The history of cold-bathing, Londra, 17326; BUCHAN W., Domestic medicine, rivisto da Samuel Griffitts, Philadelphia, 1809, p. 31; RURAH, Pediatrics, cit., p. 97; JONES J., The arts and science of preserving bodie and soule in healthe, 1579, Univ. Microfilms, 14724, p. 32; MORSE EARLE A., Customs and fashions in old New England, Detroit, 1968 (originale pubblicato nel 1893), p. 2; The common errors in the education of children and their consequences, Londra, 1744, p. 10; THOMSON W., Memoirs of the life and gallant exploits of the old highlander serjeant Donald Macleod, Londra, 1933, p. 9; SCHATZMAN M., Soul murder: persecution in the family, New York, 1973, p. 41; HITCHCOCK, Memoirs, cit., p. 271.

163 GRANT SMITH E., Memoirs of a highland lady, Londra, 1898, p. 49.

164 ARISTOTELE, Politica; GREEN R.M., A translation of Galen’s “Hygiene” (De sanitate tuenda), Springfield, 1951, p. 33; PEIPER A., Chronik, cit., p. 81.

165 ORAZIO, Satire, Epistole, Ars Poetica; FLOYER, Cold-bathing, cit.; ROUSSEAU J.-J., Emilio; EARLE, Child Life, cit., p. 25; RICHTER, Levana, cit.; CANFIELD FISHER D., Mothers and children, New York, 1914, p. 113; HARLAND M., Common sense in the nursery, New York, 1885, p. 13; EARLE A., Customs and fashions in old New England, p. 24; MONTAGU M.W., The letters and works of lady Mary Wortley Montagu, Londra, 1861; vol. I, p. 209; NELSON, Essay, cit., p. 93.

166 DEUTSCHER I., Lenin’s childhood, Londra, 1970, p. 10 (tr. it., Lenin. Frammento di una vita e altri saggi, Laterza, Bari, 1970); KAPP Y., Eleanor Marx, vol. I, Vita famigliare, Einaudi, Torino, 1977; ASHTON J., Social life in the reign of Queen Anne, Detroit, 1968, p. 3.

167 BUCHAN, Domestic, cit., p. 8.

168 The Code of Hammurabi king of Babylon about 2250 B.C., tr. HARPER R.F., Chicago, 1904, p. 41; PAYNE, Child, cit., pp. 217, 279-291; BOSSARD, Sociology, cit., pp. 607-608; GWYNN A., Roman education: from Cicero to Quintilian, Oxford, 1926; p. 13; DE COULANGES F., The ancient city, Garden City, New York, n.d., pp. 92, 315.

169 HARRISON, Law, cit., p. 73.

170 ERODA, Mimiambi.

171 THRUPP, Anglo-Saxon home, cit., p. 11; JOYCE, History, cit., pp. 164-165; ANDREWS W., Bygone England: social studies in its historic byways and highways, Londra, 1892, p. 70.

172 MCNEIL J.T. e GAMER H., Medieval handbooks of penance, New York, 1938, p. 211; una vendita all’asta di bambini, in America, viene descritta in ABBOTT G., The child and the state, Chicago, 1938, vol. 2, p. 4.

173 CONTENAU G., Everyday life in Babylon and Assiria, New York, 1966, p. 18.

174 PAINTER S., William Marshall: knight-errant, baron, and regent of England, Baltimora, 1933, p. 16.

175 Ibid., p. 14; GRAHAM, Children, cit., p. 32.

176 JOYCE, History, cit., vol. 1, pp. 164-165; vol. 2, pp. 14-19.

177 ROWLING M., Everyday life in medieval times, New York, 1968, p. 138; FURNIVALL, Meals and manners, cit., p. XIV; CHARLTON K., Education in Renaissance England, Londra, 1965, p. 17; MACFARL.ANE, Family life, cit., p. 207; GAGE J., Life in Italy al the time of the Medici, Londra, 1968, p. 70.

178 DUNLOP O.J., English apprenticeship and child labour, Londra, 1912; GEORGE M.D., London life in the eighteenth century, New York, 1964.

179 HARE A.J.C., The story of my life, Londra, 1896, vol. I, p. 51.

180 RODGERS B., Georgian chronicle, Londra, 1958, p. 67.

181 HARPER, Code of Hammurabi, cit.; WINTER, Life and letters, cit.; WICKES I.G., « A history of infant feeding », in Archives of disease in childhood, 28 (1953), p. 340; GORMAN, Nurse, cit.; HYMANSON A., « A short review of the history of infant feeding », in Archives of pediatrics, 51 (1934), p. 2.

182 GREEN, Galen’s Hygiene, cit., p. 24; FOOTE, « Infant Hygiene », cit., p. 180; SORANO, Gynaecia, cit.; SADOLETO J., De liberis recte instituendis; HORKAN, Educational theories, cit, p. 31; JONES J., Art and science of preserving, cit., p. 8; DE MARIANA J., The King and the education of the King, Washington, 1948, p. 189; ERASMO, Colloquia; DE ST. MARTHE, Paedotrophia, cit., p. 10; MOST, Mensch, cit., p. 89; KNODEL J. e VAN DE WALLE E., « Breast feeding, fertility and infant mortality: an analysis of some early german data », in Population studies, 21 ( 1967), pp. 116-120.

183 FOOTE, « Infant Hygiene », cit., p. 182.

184 CLEMENTE ALESSANDRINO, Il pedagogo; AULO GELLIO, Noctes atticae; CLEMENTE ALESSANDRINO, In Christum servatorem hymnus.

185 AULO GELLIO, Noctes atticae.

186 MORELLI G., Ricordi, cit., pp. 144, 452.

187 HALLIWELL J., The autobiography and correspondence of Sir Simonds D’Ewes, Londra, 1845, p. 108; vedi anche BRAY W., a cura di, The diary of John Evelyn, Londra, 1952, vol. I, pp. 330, 386; MORLEY H., Jerome Cardan: the life of Girolamo Cardano of Milan, physician, Londra, 1854, p. 203.

188 GUILLIMEAU J., Nursing, cit., p. 3.

189 WICKES, « Infant feeding », cit., p. 235.

190 HITCHCOCK, Memoirs, cit., pp. 19, 81; WICKES, « Infant feeding », cit., p. 239; BAYNE-POWELL, English-child, cit., p. 168; WINCHESTER B., Tudor family portrait, Londra, 1955, p. 106; TAYLOR, Angel-Makers, cit., p. 328; STETSON PARKER C., The defense of the child by french novelists, Menasha, 1925, pp. 4-7; HICKEY W., Memoirs of William Hickey, Londra, 1913, p. 4; LEVRON J., Daily life at Versailles in the seventeenth and eighteenth centuries, Londra, 1968, p. 131; DRAKE T.G.H., « The wet nurse in the eighteenth century », in Bulletin of the history of medicine, 8 ( 1940), pp. 934-948; TANSILLO L., La balia, Forni, Bologna, 1969; MARMONTEL, Autobiography, Londra, 1829, vol. 4, p. 123; BENTZON TH., « About french children », in Century magazine, 52 (1896), p. 809; MOST, Mensch, cit., pp. 89-112; ALLISON J.M.S., a cura di, Concerning the education of a prince: correspondence of the princess of Nassau-Saarbruck 13 June-15 November, 1758, New Haven, 1941, p. 26; SIDGWICK A., Home life in Germany, Chatauqua, New York, 1912, p. 8.

191 HUTCHINSON L., Memoirs of colonel Hutchinson, Londra, 1968, pp. 13-15; MACFARLANE, Family life, cit., p. 87; STONE L., The crisis of aristocracy: 1558-1641, Oxford, 1965, p. 593 (tr. it. La crisi dell’aristocrazia. L’inghilterra da Elisabetta a Cromwell, Einaudi, Torino, 1972); MURDOCK K.B., The sun at noon, New York, 1939, p. 14; NICOLSON M.H., a cura di, Conway letters, New Haven, 1930, p. 10; CLINTON COUNTESS E., The countesse of Lincolness nurserie, Oxford, 1622.

192 WICKES, « Infant feedings », cit., p. 235; DRAKE, « Wet Nurse », cit., p. 940.

193 HYMANSON, « Review », cit., p. 4; SORANO, Gynaecia; MACROBIO, Somnium Scipionis; BARBERINO, Reggimento, cit., p. 192; RUHRAH, Pediatrics, cit., p. 84; PEARSON, Elizabethans, cit., p. 87; MACFARLANE, Family life, cit., p. 87; ROESSLIN E., The byrth of mankynde, Londra, 1540, p. 30; WINCHESTER, Tudor, cit., p. 106; STILL, History of Paediatrics, cit., p. 163; JONES, Arts, cit., p. 33; SOULIÉ, Héroard, cit., p. 55; EVELYN J., The diary and the correspondence of John Evelyn, n.d., p. 3; PECKEY J., A general treatise of the diseases of infants and children, Londra, 1697, p. 11; NELSON, Essay, cit., p. 20; CULPEPPER N., A directory for midwives: or, a guide for women in their conception, bearing, and suckling their children, Londra, 1762, p. 131; DE ST. MARTHE, Paedotrophia, cit., p. 98; VALENTINE, Father, cit., p. 93; WARREN E., How I managed my children from infancy to marriage, p. 20; TICKNER C., A guide for mothers and nurses in the management of young children, New York, 1839, p. 37; MYERS R., a cura di, The children of pride, New Haven, 1972, p. 508; KNODEL, « Breast feeding », cit., p. 118.

194 ROESSLIN, Byrth, cit., p. 30.

195 RYERSON, « Medical Advice », cit., p. 75.

196 WICKES, « Infant feeding », cit., pp. 155-158; HYMANSON, « Review », cit., pp. 4-6; STILL, History of Paediatrics, cit., pp. 335-336, 459; HOPKIRK M., Queen over the water, Londra, 1953, p. 1305; THOMPSON, Colloquies, cit., p. 282.

197 The female instructor; or young woman’s companion, Liverpool, 1811, p. 220.

198 HASSAL W.O., How they lived: an anthology of original accounts written before 1485, Oxford, 1962, p. 105.

199 BRYAN C.P., The papyrus ebers, New York, 1931, p. 162; STILL, History of Paediatrics, cit., p. 466; DOUGLASS, Summary, cit., p. 346; RAUSCHER, « Volkskunde », cit., p. 44; DODDS J.W., The age of paradox: a biography of England 1841-1851, New York, 1952, p. 157; ABT-GARRISON, History of Paediatrics, cit., p. 11; BECK J.B., « The effects of opium in the infant subjects », in Journal of medicine, New York, 1844; TICKNER, Guide, cit., p. 115; Friendly letter to parents and heads of families particularly those residing in the country towns and villages in America, Boston, 1828, p. 19; BUCHAN, Domestic, cit., p. 17; PINCHBECK, Children, cit., p. 301.

200 SPARGO J., The bitter cry of the children, Chicago, 1968; SENOFONTE, Minor Writings, Londra, 1925, p. 37; HOPKIRK, Queen, cit., pp. 130-135; PLUTARCO, Moralia; SAN BASILIO, Moralia (Scritti ascetici); GAGE, Life in Italy, cit., p. 109; SAN GEROLAMO, Lettere; PLATTER T., The autobiography of Thomas Platter: a schoolmaster of the sixteenth century, Londra, 1847, p. 8; CRAIG, « Vincent of Beauvais », cit., p. 379; ROESSLIN, Byrth, cit., p. 17; JONES, Arte, cit., p. 40; TAINE, Ancient Regime, cit., p. 130; HORN D.B. e RANSON M., a cura di, English historical documents, vol. 10, 1714-1783, New York, 1957, p. 561; LOCHEAD, First ten years, cit., p. 34; FORBES E., A family book, Salem, 1801, pp. 240-241; YOUNG L., Wednesday’s children; a study of child neglect and abuse, New York, 1964, p. 9.

201 SANT’AGOSTINO, Confessiones; BAXTER R., The autobiography of Richard Baxter, Londra, 1931, p. 5; Sant’Agostino ricorda come dovesse rubare cibo dalla tavola.

202 HASSALL, How they lived, cit., p. 184; BENEDICT, « Child rearing », cit., p. 345; GORER G. e RICKMAN J., The people of great Russia: a psychological study, p. 98; PECKEY, Treatise, cit., p. 6; RUHRAH, Pediatrics, cit., p. 219; GREEN, Galen’s Hygiene, cit., p. 22; MAURICEAU F., Trattato delle malattie delle donne gravide e delle infantate, F.lli de Tournes, Ginevra, 1727, p. 309.

203 DEWEES W.P., A treatise on the physical and medical treatment of children, Philadelphia, 1826, p. 4; per un ulteriore bibliografia sulle fasce vedi DENNIS W., « Infant reaction to restraint: an evaluation of Watson’s theory », in Transactions New York Academy of sciences, serie 2, vol. 2, 1940; ERIKSON E.H., Infanzia e società, Armando, Roma, l98010; DANZIGER L. e FRANKL L., « Zum Problem der Functions-reifung », in A. fur Kinderforschung, 43 (1943); BOYER, « Problems », cit., p. 225; MEAD M., « The swaddling hypothesis: its reception », in American anthropologist, 56 (1954); GREENACRE P., « Infants reactions to restraint », in KLUCKHOHN C. e MURRAY H.A., a cura di, Personality in Nature, society and culture, New York, l9532, pp. 513-514; HUDSON C., «.Isometric advantages of the cradle board: a hypothesis », in American anthropologist, 68 (1966), pp. 470-474.

204 CHAPONE, Chapone on the improvement of the mind, Philadelphia, 1830, p. 200.

205 LIPTON E.L., STEINSCHNEIDER A. e RICHMOND J.B., « Swaddling, a child care practice: historical cultural and experimental observations », in Pediatrics, supplemento 35, parte 2 (marzo, 1965), pp. 521-567.

206 WILCOX T., Five centuries of the american costume, New York, 1963, p. 17; ROUSSEAU J.J., Emilio, cit.; STRUVE C.A., A familiar view af the domestic education of children, Londra, 1802, p. 296

207 Hippocrates, tradotto da W.H.S. Jones, Londra, 1923, p. 125; WENIG S., The woman in Egyptian art, New York, 1969, p. 47; NEUMANN E., The great mother: analysis of the archetype, New York, 1963, p. 32.

208 LOGAN J., The scotish gael; or, celtic manners, as preserved among the highlanders, Hartford, 1851, p. 81; THOMPSON, Memoirs, cit., p. 8; PLANT M., The domestic life of Scotland on the eighteenth century, Londra, 1952, p. 6.

209 SORANO, Gynaecia, cit.; PLATONE, Le leggi.

210 HARTLEY D., Medieval costume and life, Londra, 1931, pp. 117-119.

211 CUNNINGTON, Children’s costume, cit., pp. 35, 53-69; MACFARLANE, Family life, cit., p. 90; GUILLIMEAU, Nursing, cit., p. 23; LIPTON, « Swaddling », cit., p. 527; HUNT, Parents and children, cit., p. 127; PECKEY, Treatise, cit., p. 6; ST. CLARE BYRNE M., a cura di The Elizabethan home discovered in two dialogues by Claudius Hollyband and Peter Erondell, Londra, 1925, p. 77. È interessante notare come un secolo prima della campagna di Cadogan contro le fasciature, la madri iniziarono a ridurre l'età dell'eliminazione delle stesse, e che dottori precedenti come Glisson, si opponevano a tale trasformazione, tenendo a confermare l'origine psicogenetica nella stessa famiglia.

212 CUNNINGTON, Children’s costume, cit., pp. 68-69; KING-HALL M., The story of the nursery, Londra, 1958, pp. 83, 129; CHAPONE, Improvement, cit., p. 199; DE ST. MARTHE, Paedotrophia, cit., p. 67; SUNLEY R., « Early nineteenth-century literature on child rearing », in MEAD M., WOLFENSTEIN M., a cura di, Childhood in contemporary cultures, Chicago, 1955, p. 155; KUNH, Mother’s role, cit., p, 141; WILCOX, Five centuries, cit.; EARLE MORSE A., Two centuries of costume in America, cit., vol. I, p. 311; NELSON, Essay, cit., p. 99; LIPTON, « Swaddling », cit., pp. 529-532; CULPEPPER, Directory, cit., p. 305; HAMILTON, Female physician, cit., p. 262; RENDLE-SHORT M. e J., The father of child care: life of William Cadogan, 1771-1797, Bristol, 1966, p. 20; CAULFIELD, Infant welfare, cit., p. 108; RYERSON, « Medical advice », cit., p. 107; BENTZON, « French children », cit., p. 805; MOST, Mensch, cit., p. 76; STRUVE, View, cit., p. 293; SIDGWICK, Home life, cit., p. 8; PEIPER, Chronik, cit., p. 666.

213 CUNNINGTON, Children’s costume, cit., pp. 70-128; HASTIE T., Home life, cit., p. 33; PREYER, Mind, cit., p. 273; EARLE MORSE A., Two centuries of costume in America, cit., pp. 316-317; SOMERVILLE M., Personal recollections, from early life to old age, of Mary Somerville, Londra, 1873, p. 21; ARISTOTELE, Politica; SCHATZMAN, Soul murder, cit.; EARLE, Child life in colonial days, cit., p. 58; BURTON, Early victorians, cit., p. 192; RICHARDSON J., Princess Mathilde, New York, 1969, p. 10; BENTZON, « French. Children », cit., p. 805; DE GENLIS S., Memoirs of the countess De Genlis, New York, 1825, p. 10; KEMBLE, Records, cit., p. 85.

214 SENOFONTE, Writings; HORKAN, Educational Theories, cit., p. 36; EARLE, Child life in colonial days, cit., p. 26; NELSON, Essay, cit., p. 83; RUHRAH, Pediatrics, cit., p. 220; SORANO, Gynaecia, cit., per una credenza simile, vedi BATESON G. e MEAD M., Balinese character: a photographic analysis, Special Publications of the New York Academy of Sciences, 1942, vol. 2.

215 WEBSTER T.B.L., Everyday life in classical Athens, Londra, 1969, p. 46; PIETRO ABELARDO, Historia calamitatum mearum; BAINSTON R., Women of the reformation in Germany and Italy, Minneapolis, 1971, p. 36; BELON P., Les observations, de plusieurs singularitez et choses memorables trouvées en Grèce, Judée, Egypte, Arabie, et autres pays estranges, Anversa, 1555, p. 146; PHAIRE, Boke, cit., p. 53; PEMELL, De morbis, cit., p. 55; PECKEY, Treatise, cit., p. 146; WIRTH-MARVICK E., «.Héroard and Louis XIII », in Journal of interdisciplinary history, in corso di stampa; GUILLEMEAU, Nursing, cit., p. 80; RUHRAH, Pediatrics, cit., p. 61; BOSSUET J.B., An account of the education of the Dauphine, in a letter to Pope Innocent XI, Glasgow, 1743, p. 34.

216 THASS-THIENEMANN, Subconscious, cit., p. 59.

217 HUNT, Parents and children, cit., p. 144.

218 Ibid., pp. 144-145.

219 NELSON, Essay, cit., p. 107; CHAPONE, Improvement, cit., p. 200; RYERSON, « Medical Advice », cit., p. 99.

220 KERN S., « Did Freud discover childhood sexuality? », in History of childhood quarterly: the journal of psychohistory, 1 (estate 1973), p. 130; PREYER, Mental development, cit., p. 64; SUNLEY, «.Literature », cit., p. 157.

221 KLEIN J., « Samples from english cultures », in Child-rearing practices, Londra, 1965, pp. 449 452; RODNICK D., Post war Germany: an anthropologist’s account, New Haven, 1948, p. 18; SEARS R.R., a cura di, Patterns of child rearing, New York, 1957, p. 109; MILLER, Changing american parent, cit., pp. 219-220.

222 PLUTARCO, Sull’educazione dei figli; FURNIVALL F.J., a cura di, Queen Elizabethes achademy, Early english text society extra series n. 8, Londra, 1869, p. 1; WOODWARD W.H., Studies in education during the age of the Renaissance 1400-1600, Cambridge, Massachusetts, 1924, p. 171.

223 DE MONTAIGNE M., The essays of Michel de Montaigne, tradotto da G.B. Ives, New York, 1946, pp. 234, 516 (tr it. Saggi, Adelphi, Milano, 1976); FRAME D.M., Montaigne: a biography, New York, 1965, pp. 38-40, 95.

224 PEIPER A., Chronik, cit., pp. 302-345.

225 SMITH P., A history of modem culture, New York, 1934, vol. 2, p. 423.

226 BISHOP M., a cura di, Letters from Petrarch, Bloomington, 1966, p. 149; COCHRANE C.N., Christianity and classical culture, Londra, 1940, p. 35; TURNER J., « The visual realism of Comenius », in History of education, 1 (giugno 1972), p. 132; COMENIO G.A., Didactica magna; DEGUIMPS R., Pestalozzi: his life and his work, New York, 1897, p. 161; BEC C., Les marchands écrivains: affaires et humanisme à Florence, 1375-1434, Parigi, 1967, pp. 288-297.

227 HOLE C., The english, housewife in the seventeenth century, Londra, 1953, p. 149; STERB E. e R., Beethoven and bis nephew, New York, 1971, p. 89.

228 SOULIÉ E.., Héroard, cit., pp. 44, 203, 284, 436; HUNT, Parents and children, cit., p. 13.

229 DOMINICI G., Regola del governo di cura familiare, Campolmi, Firenze, 1860, p. 156; ROUSSEAU, Emilio, cit.; SANGSTER, Pity, cit., p. 77.

230 THRUPP, Anglo-Saxon home, cit., p. 98; FURNIVALL, Early english meals and manners, p. VI; ASCHAM R., The scolemaster, New York, 1967, p. 34; TRAILL H.D. e MANN J.S., Social England, New York, 1909, p. 239; SOFOCLE, Edipo re, 808.

231 ERODA, Mimiambi, cit.; ERMAN A., The literature of the ancient Egyptians, Londra, 1927, pp. 189-191; PEIPER A., Chronik, cit., p. 17; PLUTARCO, Moralia; PLUTARCO, Vite parallele; GALENO, Methodus medendi.

232 THRUPP, Anglo-Saxon home, cit., p. 100.

233 PEIPER, Chronik, cit., p. 309.

234 EADMER DI CANTERBURY, De Vita S. Anselmi Cantuariensis.

235 BATTY Christian, cit., pp. 14-26; CHARRON, Wisdom, cit., pp. 1334-1339; POWELL, Domestic relations, cit.; BENTON J.F., a cura di, Self and society in medieval France: the memoirs of abbot Guibert of Nogent, New York, 1970, pp. 212-241; COLE L., A history of education; Socrates to Montessori, New York, 1950, p. 209; COMENIO, Didactica magna, cit.; WATKINS, Family, cit., p. 66.

236 BOSSUET, Account, cit., pp. 56-57; MEYER H., Child nature and nurture according in Nicolaus Ludwig von Zinzindorf, New York, 1928, p. 105; BEDFORD, English children, cit., p. 238; KING-HALL, Story of the nursery, cit., pp. 83-91; WITHERSPOON J., The works of John Witherspoon, D.D., Edimburgo, 1805, vol. 8, p. 178; FLEETWOOD Rev. B., Six useful discourses on the relative duties of parents and children, Londra, 1749.

237 Vedi l’ultimo saggio di questo libro per la bibliografia relativa a Francia e Inghilterra; vedi COBB L., The evil tendencies of corporal punishement a: as means of moral discipline in families and school, New York, 1847, e MILLER, Changing american parent, cit, pp. 13- 14, per le condizioni americane, vedi HAVERNICK W., Schläge als Strafe, Amburgo, 1964, per la Germania dei giorni nostri.

238 SMITH GRANT E., Memoirs, cit., p. 49; HEATH R., Edgar Quinet: his early life and writings, Londra, 1881, p. 3; LINDSAY Lord, Lives of the Lindsay: or, a memoir of the houses of Crawford and Barcarros, Londra, 1849, vol. 2, p. 307; BUTTERFIELD L.H., a cura di, Letters of Benjamin Rush, vol. 1: 1761-1792, Princeton, 1951, p. 511; BENTZON, « French children », cit., p. 811; BLUNDELL M., Cavalier: letters of William Blundell to his friends, 1620-1698, Londra, 1933, p. 46.

239 Per le bibliografie, vedi LICHT H., Sexual life in ancient Greece, New York, 1963; FLACELIERE R., Love in ancient Greece, Londra, 1960; GRIMAL P., Love in ancient Rome, New York, 1967; EGLINTON J.Z., Greek love, New York, 1964; KIEFER O., Sexual life in ancient Rome, New York, 1962; KARLEN A., Sexuality and homosexuality; a new view, New York, 1971; VANGGAARD, Phallos, cit.; CHURCHILL W., Homosexual behavior among males: a cross-cultural and cross-species investigation, New York, 1967.

240 LUTZ, « Rufus », cit., p. 103.

241 ARISTOTELE, Politica.

242 GRIMAL, Love, cit., p. 106; KARLEN, Sexuality, cit., p. 33; SENOFONTE, Writings, cit., p 149.

243 QUINTILIANO, Institutio oratoria; KARLEN, Sexuality, cit., pp. 34-35; LACEY, Family, cit., p. 157.

244 ESCHINE, Orazioni.

245 Ibid.

246 PETRONIO, Satyricon.

247 ARISTOTELE, Etica nicomachea; QUINTILIANO, Institutio, cit.; HENNINGSEN P. e BRUSENDORF O., A history of eroticism, New York, 1963, tavola 4.

248 EPSTEIN L.M., Sex laws and customs in Judaism, New York, 1948, p. 136.

249 PLUTARCO, Della educazione dei figli.

250 SVETONIO, De vita Caesarum; TACITO, Annales.

251 MARZIALE, Epigrammi, libro XI; ARISTOTELE, Historia Animalium.

252 VANGGAARD, Phallos, cit., pp. 25, 27, 43 ; KARLEN, Sexuality, cit., pp. 33-34; EGLINTON, Greek love, cit., p. 287.

253 MCDOUGALL J., « Primal scene and sexual perversion », in International journal of psychoanalysis, 53 ( 1972), p. 378.

254 LICHT H., Sexual life, cit., p. 497; TOMKINS P., The eunuch and the virgin, New York, 1962, pp. 17-30; VANGGAARD, Phallos, cit., p. 59; MARZIALE, Epigrammi, cit.

255 PAOLO D’EGINA, De re medica, cit.

256 MARZIALE, Epigrammi, cit.; SAN GEROLAMO, Lettere; TOMKINS, Eunuch, cit., pp. 28-30; KEYNES G., The apologie and treatise of Ambroise Paré, Londra, 1951, p. 102.

257 CLEMENTE ALESSANDRINO, Il pedagogo, cit.

258 ORIGENE, Commento al vangelo di Matteo, si veda MENZIES A., a cura di, The ante-nicene fathers, cit., vol. 9, p. 484.

259 BENTON, Self, cit., pp. 14, 35.

260 CRAIG, « Vincent of Benuvais », cit., p. 303; CLEAVER, Godlie, cit., pp. 326-327; DOMINICI G., Regola del governo, cit., p. 144.

261 Ibid.

262 ARIÈS, op. cit., pp. 119-120; BUTZBACH J., The autobiography of Johannes Butzbach: a wandering scholar of the fifteenth century, 1933; CLELAND J., The instruction of a young nobleman, Oxford, 1612, p. 20; ELYOT T., The book named the Governor, Londra, 1962, p. 16; PANOFSKY E., Studies in iconology: humanistic themes in the art of the Renaissance, New York, 1972, pp. 95-166; STEINBERG L., « The metaphors of love and birth in Michelangelo’s Pietàs », in BOWIE T., e CHRISTENSON C. a cura di, Studies in erotic art, New York, 1970, pp. 231-339; KUNSTMANN J., The transformation of Eros, Londra, 1964, p. 21-23.

263 WHITING, Child-training, cit., p. 79.

264 FALLOPPIO G., « De decoraturie trachtaties », in Opera Omnia, Francoforte, 1600, cap. 9, pp. 336-337; SORANO, Gynaecia, cit.
265 GOODICH M.E., « The dimensions of thirteenth century saint-hood », Ph. D. dissertation, Columbia University, 1972, pp. 211-212; FLANDRIN J.L., « Marriage tardif et vie sexuelle: discussions et hypothèses de recherche », in Annales: economies société's civilisations, 27 (1972), pp. 1351-1378.
266 HARE, « Masturbatory Insanity », cit., pp. 2-25; SPITZ, « Authority and masturbation », pp. 490-527; Onania, or the heinous sin of self pollution, Londra, n.d., pp. 1-19; TISSOT S., «.L'Onanisme: dissertation sur les maladies produites par la masturbation », Losanna, 1764, in RATTRAY TAYLOR G., Sex in History, New York, 1954, p. 223; TAYLOR, Angel-makers, cit., p. 327; COMFORT A., The anxiety makers: some curious preoccupations of the medical profession, Londra, 1967; RYERSON, « Medical Advice », p. 305; KERN, « Freud », cit., pp. 117-141; DESLANDER L., A treatise on the diseases produced by onanism, masturbation, self-pollution, and other excesses, Boston, 1838; HENRY S.M.I., Studies in home and child life, Battle Creek, Michigan, 1897, p. 74; LEONARD G.B., The transformation, New York, 1972, p. 106; DUFFY J., « Masturbation and clitoridectomy: a nineteenth century view », in Journal of the American Medical Association, 186 (1963), p.246; YELLOWLEES, « Masturbation », in Journal of mental science, 22 (1876), p. 337; KELLOGG J.H., Plain facts for old and young, Burlington, 1881, pp. 186-497; REMONDINO P.C., History of circumcision from the earliest times to the present, Philadelphia, 1891, p.272.
267 RESTIF DE LA BRETONNE N., Monsieur Nicolas, cit.; DESLANDER, Treatise, p. 82; PARREAUX A., Daily life in England in the Reign of George III, Londra, 1969, pp. 125-126; PEREZ B., The first three years of childhood, Londra, 1885, p. 58; My secret life, New York, 1966, pp. 13-15, 61; GATHORNE-HARDY, Rise and Fall, cit., p. 163; ELLENBERGER H.E., The discovery of the unconscious, New York, 1970, p. 299 (tr. it., La scoperta dell'inconscio, Boringhieri, Torino, 19762); HOWE J., Excessive venery, masturbation and continence, New York, 1893, p. 63; GASQUOINE HARTLEY C., Motherhood and the relationships of the sexes, New York, 1917, p. 312; BERNIS, Memoirs, cit., p. 90.
268 MOLL A., The sexual life, cit., p. 219; SCHUR M., Freud: living and dying, New York, 1972, pp. 120-132 (tr. it. Il caso Freud, Boringhieri, Torino, 1976); FLEISS R., Symbol, dream and psychosis, New York, 1973, pp. 205-229.

269 BROUGHTON V.D., a cura di, Court and private life in the time of Queen Charlotte: being the journals of Mrs. Papendiek, assistant keeper of the wardrobe and reader to Her Majesty, London, 1887, p. 40; MORLEY, Cardan, cit., p. 35; ORIGO, Leopardi, cit.; KEMBLE, Records, cit., p. 28; GREENLEAF WHITTIER J., a cura di, Child life in prose, Boston, 1873, p. 277; HOUGHTON W.E., The victorian frame of mind, 1830-1870, New Haven, 1957, p. 63; MARTINEAU H., Autobiography, Boston, 1877, vol. I, p. 11; GENINGES J., The life and death of Mr. Edmund Geninges, Priest, 1614, p. 18; THOMPSON, Religion, cit., p. 471.
270 HANSEN C., Witchcraft at Salem, cit.; SETH R. Children against witches, Londra, 1969; MIDELFORT E., Witch hunting in southwestern Germany, Stanford, 1972, p. 109; HOLLIDAY C., Woman's life, cit., p. 60; RUSSELL J.B., cit., p. 136; GRAY G.A., The children's crusade, New York, 1972.
271 STAHL, Macrobius, cit., p. 114; CARTWRIGHT ADY J., Isabella D'Este: Marchioness of Mantua, 1474-1539, a Study of the Renaissance, Londra, 1903, p. 186; GIBBS M.A., The years of the nannies, Londra, 1960, p. 23; STRICKLAND A., Lives of the Queens of England, Londra, 1864, p. 2; CLIFFORD A., The diary of Lady Anne Clifford, Londra, 1923, p. 66; MCLANE HAMILTON A., The intimate life of Alexander Hamilton, Londra, 1910, p. 224; HARE A., Story, cit., p. 54; GASKELL E., « My Diary.»: the early years of my daughter Marianne, Londra, 1923, p. 33; TALBOT E., a cura di, Papers on infant development, Boston, 1882, p. 30; DU MAURIER, Young Du Maurier, cit., p. 250; PREYER, Mind, cit., p. 275; BARBER J.D., The presidential character: predicting performance in the White House, Englewood Cliffs, New Jersey, 1972, p. 212; DEARBORN G., Motor-sensory development: observations on the first three years of a child, Baltimora, 1910, p. 160; FORBUSH W., The first year in a baby's life, Philadelphia, 1913, p. 11; SHIRLEY M., The first two years: a study of twenty-five babies, Minneapolis, 1931, p. 40; BRODY S., Patterns of mothering: maternal influence during infancy, New York, 1956, p. 105; AXELRAD S., « Infant care and personality reconsidered », in The psychoanalytic study of society, 2 (1962), pp. 99-102, per esempi di simili ritardi nei bambini fasciati dall'Albania.

272 NEILL A.S., The free child, Londra, 1952; RITTER J. e P., The free family: a creative experiment in self-regulation for children, Londra, 1959; DEAKIN M., The children on the hill, Londra, 1972; ed il mio libro su mio figlio, che non è ancora in stampa.

273 Nonostante la singola linea di evoluzione descritta, la teoria psicogenetica della storia non è unilineare bensì multilineare, poiché anche le condizioni esterne alla famiglia, in ogni società, hanno effetto sull'andamento del rapporto genitori-figli. Non abbiamo nessun diritto di ridurre tutte le altre fonti sui mutamenti storici alla nostra teoria. Piuttosto che un esempio di riduzionismo psicologico, questa teoria è veramente un'intenzionale applicazione dell'«.individualismo metodologico » così come descritto da HAYEK F.A., The counter-revolution of science, Glencoe, 1952; POPPER K.R., La società aperta e i suoi nemici, Armando, Roma, 1977; WATCKINS J.W.N., « Methodological individualism and non-hempelian ideal types », in KRIMERMAN L., a cura di, The nature and scope of social science, New York, 1969, pp. 457-472. Vedi anche WISDOM J.O., « Situational individualism and the emergent group properties », in BORGER R. e CIOFFI F., a cura di, Explanation in the behavioral sciences, Cambridge, Massachusetts, 1970, pp. 271-296.

274 Le citazioni sono tratte da HALL C.S., « Out of a dream came the faucet », in Psychoanalysis and the psychoanalytic review, 49 (1962).
275
Vedi MANDELBAUM M., History, man and reason: a study in nineteenth century thought, Baltimora, 1971, cap. 11, per il fallito tentativo di Mill di inventare una scienza storica della natura umana.